venerdì 20 giugno 2025

A PIEDE LIBRO n.115 - Lenin e Stalin. Lo stato totalitario - Massimo Ferrari Zumbini - Seconda ed ultima parte

A PIEDE LIBRO n.115
Intima ed irregolare rubrica Libraria - Anno V

LENIN E STALIN. LO STATO TOTALITARIO.

(Seconda ed ultima parte) 

Stalin non fece altro che seguire le orme del suo maestro Lenin, peggiorando tutto quel che si poteva peggiorare. Josif Džugašvili aveva già un lungo curriculum da terrorista o da rivoluzionario, a seconda di come la si vuol vedere. L’azione più tremenda da giovane ribelle risaliva al 1907, quando assieme ad altri compagni, per sovvenzionare il bolscevismo coi famosi “espropri proletari” che altro non erano se non delle cruente rapine a mano armata, prese d’assalto un trasporto della banca nazionale, provocando 40 morti. 

Stalin, come è noto, fu uno dei più importanti collaboratori di Lenin, anche se quest’ultimo prima di morire, in una serie di appunti, rivolse non poche critiche alla dirigenza bolscevica, incluso Džugašvili, che però ugualmente raggiunse i pieni poteri nel 1926, scalzando i suoi avversari di partito, i quali con gli anni furono tutti fatti fuori, molti fisicamente. 

Una dittatura feroce basata sul nuovo culto della persona stabilizzò dunque la nazione. 

Un’altra gigantesca carestia scoppiò nel 1932-1933, 5 milioni i morti, i ¾ in Ucraina. Stalin odiava gli ucraini perché troppo nazionalisti e di fronte alla loro fuga per fame in altri Paesi, specialmente verso la Polonia, dette l’ordine di chiudere tutti i varchi di confine. L’Ucraina diventò una trappola, si ripeterono le stesse scene dell’altra carestia del 1921-1922, ma stavolta i numeri furono più terribili.

L’Holodomor rimase impresso per sempre nella memoria collettiva ucraina: “si diceva che dei bambini scompaiono da qualche parte, che genitori degenerati mangiano i loro figli. Poi si scoprì che non si trattava di voci”, sulla strada di Larysa Venžyk “scomparvero due bambine, figlie di vicini. Loro fratello Miša, di sei anni, scappò di casa e si mise a vagare per il villaggio, mendicando e rubando. Quando gli fu chiesto perché non se n’era andato a casa, rispose che aveva paura: «Papà mi taglia». La polizia perquisì la casa, trovò le prove e arrestò i genitori. Quanto a Miša, «fu lasciato al suo destino»” (A. Applebaum, ‘La grande carestia di Stalin all’Ucraina’).

Allo stesso modo della precedente carestia avvenuta sotto il governo Lenin, anche quella diventò una mattanza conosciuta perfettamente dai dirigenti del partito comunista russo, voluta da Stalin e non solo da lui, nascosta per decenni. Si mise a tacere tutto, compreso il censimento del 1937  e tutti quelli che avrebbero potuto parlare, come coloro che quel censimento lo organizzarono.

Qualche avvisaglia e qualche notizia di straforo arrivò ma i tanti partiti comunisti all’estero fecero la solita grande opera di silenziare e smentire il tutto. L’omertà durò fino a quando Robert Conquest nel 1986 pubblicò il suo libro ‘Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica’. 

In egual misura si tacque sulla rete dei campi di lavoro, anche se le cose andarono un po’ diversamente perché il primo testimone a parlare negli anni Settanta, grazie alla sua diretta esperienza personale di internato, rivelò il funzionamento del sistema concentrazionario e schiavistico sovietico: si tratta di Aleksandr Solženicyn, che tramite il suo libro “Arcipelago Gulag”, uscito per la prima volta in Italia in 3 volumi tra il 1974 e il 1978, lanciò le sue denunce contro l’Unione Sovietica. Ovviamente anche Solženicyn si dovette subire le accuse e gli insulti provenienti da tutte le parti del mondo, nel nostro Paese ci pensarono i numerosi ‘compagni’ e pure i signori Umberto Eco, che lo definì “Dostoievski da strapazzo”, e Alberto Moravia che lo bollò come “nazionalista slavofilo”.      

Se da una parte le notizie non filtravano e dall’altra i comunisti sparsi nel mondo contrastavano e contrattaccando abilmente quelli che osavano criticare l’URSS, nelle democrazie non si fecero sempre grandi sforzi per comprendere la realtà delle cose, vuoi perché si puntava ad un accordo politico con l’URSS in funzione anti-tedesca, vuoi perché vi erano in ballo tanti interessi economici come quelli che videro protagonisti americani e russi; i primi infatti, nel periodo della Grande Depressione, si impegnarono a fornire conoscenze, metodi e a portare a termine le commesse sottoscritte, che contribuirono all’adempimento dei piani quinquennali relativi all’industrializzazione forzata del Paese russo. Inoltre questi vasti piani, benché rispettati nei loro obiettivi finali, comportarono anche un numero spropositato di morti. Si pensi che in 25.000 morirono sui 150.000 impiegati per costruire, in soli 20 mesi, il canale che univa il Mar Bianco con Mar Baltico.   

La più grande e grave delle “purghe staliniane” avvenne tra il 1937 e il 1938. 

Stalin non nascose nemmeno più di tanto i propri intenti criminali quando il 7 novembre 1937, in occasione del ventesimo anniversario della Rivoluzione, disse: “Elimineremo tutti i nemici dello Stato e dei popoli del’URSS; elimineremo loro, ma anche la loro famiglia e la loro stirpe. Alzo il calice allo sterminio finale di tutti i nemici e di tutta la loro stirpe”. L’ordine ancora del 10 gennaio 1939 ai suoi sottoposti era piuttosto chairo: “i metodi di pressione fisica devono essere applicati senza restrizioni” e in effetti fino ad allora il dittatore sanguinario, in prima persona, aveva seguito l’attuazione della grande liquidazione dei ‘nemici’, aveva dato ordini, elargito ‘consigli’, emesso sentenze di morte con una cura maniacale dopo aver spulciato scrupolosamente le liste di nominativi a lui fornitegli, dopodiché decideva la soppressione o il lavoro forzato per tutti coloro che cadevano sotto i suoi occhi. 

A morire fu anche il “nano sanguinario”, ossia Nikolai Ežoc, il capo della polizia segreta, che tanto si era prodigato per ammazzare quanto più possibile, tuttavia poi si pentì di “avere eliminato un numero troppo piccolo di nemici del popolo”, raggiungendo il culmine dell’assurdità, quando prima di essere ucciso implorò: “Dite a Stalin che muoio con il suo nome sulle labbra”, ma era stato Stalin in persona a volere la sua morte e lui lo sapeva perfettamente. 800.000 furono i fucilati, per una media di 50.000 individui al mese, 1.600 al giorno; 20.000 le mogli delle vittime deportate nei campi, innumerevoli i bambini rinchiusi negli orfanotrofi. 

Né più né meno erano ripresi i processi pubblici farsa, un po’ come era accaduto ai tempi di Lenin e ad essere accusati di troskismo e a lasciarci la pelle non ci voleva molto, a tanti altri neppure un fasullo processo fu riservato. Il 70% del comitato centrale del partito fu fisicamente liquidato. Questo è il conto di quest’altra gigantesca pulizia umana del sovietismo, solo una delle tante.

Coi nazisti Stalin e compagni non fecero molto di meglio. Il ‘Patto di non aggressione’, meglio noto come ‘Patto Molotov-Ribbentrop’ del 24 agosto 1939, di fatto fu un patto di aggressione ‘bello e buono’; il protocollo segreto, rimasto tale fino al 1991, cioè fino alla caduta dell’URSS, era un accordo vero e proprio che dava il via libera alla Russia di occupare la metà della Polonia, attaccare la Finlandia - anche se in questo caso i russi dai finlandesi ce le presero di santa ragione e pagarono a caro prezzo alcune marginali conquiste territoriali - occupare i Paesi baltici, prendere la Bessarabia e parte della Bucovina a spese della Romania. 

Alla faccia della autodeterminazione e della libertà dei popoli sbandierate da sempre dal comunismo, eppure lo stesso in tanti continuarono ad abboccare nonostante tutte le evidenze possibili ed immaginabili. 

Quindi non si può non dar ragione al professor Massimo Ferrari Zumbini  quando sottolinea: “Stalin combatte il nazismo solo quando è lui l’aggredito”, però poi sappiamo che a conflitto mondiale terminato il dittatore diventò il grande liberatore del mondo secondo la propaganda internazionale comunista e non solo comunista purtroppo. 

Quell’immane conflitto fu vinto certamente dal grande sacrificio ricaduto sul popolo russo però, senza gli aiuti imponenti aiuti americani, l’Unione Sovietica avrebbe visto ben altra sorte.

Lo ammise lo stesso Stalin, quando alla conferenza di Teheran del 30 novembre 1943, disse di fronte a Churchill e Roosevelt che “Senza questi aerei dall’America, la guerra sarebbe stata perduta”. 

Il cinismo del tiranno e dei capi bolscevichi anche durante il gigantesco scontro armato non ebbe limiti, sia soprattutto verso i soldati nemici, sia anche verso i propri soldati, mandati avanti a frotte, male armati, se non per nulla affatto armati, e non preparati, oppure in situazioni dove probabilmente sarebbe stata consigliabile una maggiore prudenza e una oculata tattica di avanzata, come nelle ultime due settimane dell’aprile 1945, quando ormai era tutto deciso e si ordinò di avanzare senza sosta: ci furono 350.000 tra i feriti e deceduti in soli 15 giorni, solo negli ultimi 70 chilometri per Berlino. 

L’inganno proseguì subito dopo gli armistizi: nel febbraio 1945, a Jalta, Roosevelt, Churchill e Stalin sottoscrissero la “Dichiarazione sull’Europa liberata”, una promessa di indipendenza e di libertà decisionale in senso politico e governativo dei vari Stati europei. Sappiamo come andò a finire nell’est del continente, dove furono instaurati regimi autoritari se non violenti, d’altra parte la costruzione del muro di Berlino voluto dai russi la dice lunga sul fallimento in termini pratici del sistema politico imposto in Europa, in Asia e ovunque. 

A proposito delle falsificazioni, la morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, scatenò una trafila infinita di necrologi a livello mondiale, l’organo stampa del PCI non poteva mancare questo appuntamento, il giorno dopo “l’Unità” titolò: “STALIN È MORTO. Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’umanità”.  Il discorso di Krusciov al XX congresso del partito su alcuni dei crimini di Stalin avrebbe dovuto rimanere anch’esso segreto, non fu così, trapelò in Occidente grazie ai servizi segreti israeliani che riuscirono a fotografare la versione scritta a Varsavia. In URSS la pubblicazione avvenne soltanto nel 1989.
 
Un altro dato molto interessante va tenuto a mente: 18 milioni di persone, tra il 1929 e il 1953, furono internate nei Gulag fino al 1953, 3 milioni di persone ci morirono anche se la cifra andrebbe alzata a 4 milioni e mezzo, così come ha scritto la Applebaum nel suo imprescindibile studio intitolato “Gulag”.  
          
Dopo il 1953 cambiarono molte cose, ma rimasero troppi i buchi neri nella gestione del potere sovietico, intanto si può dire che dalla prima all’ultima delle Costituzioni, datate 1918, 1924, 1936 e 1977, così tanto elogiate da giuristi e politici di tutte le nazioni, dalla prima all’ultima si dimostrarono inapplicate per tutte quelle libertà sulla carta enunciate ma in pratica mai concesse. 

Va inoltre ricordato un altro grande misfatto, uno tra i tanti: il terrificante eccidio di Katyn in Polonia, quando i sovietici, durante l’occupazione della Polonia nel 1939, eliminarono all’incirca 20.000 soldati polacchi arresisi; per tantissimi anni i comunisti le responsabilità le addossarono ai tedeschi, un’altra bugia che verrà scoperta solo dopo la caduta dell’URSS.          

Si tenga infine in considerazione che la quasi totalità dei documenti sull’Unione Sovietica e sui suoi crimini commessi è ancora oggi ben protetta dall’impossibilità di poter accedere ai molti archivi in territorio russo.
In definitiva non può quindi non aver ragione M. Ferrari Zumbini quando scrive che la migliore delle testimonianze su quello che fecero Lenin e i suoi corrisponda a quel che sostennero gli stessi ex compagni di lotta dei bolscevichi, ossia i marinai di Kronštadt: “Con la rivoluzione d’ottobre, la classe operaia aveva sperato di realizzare la propria emancipazione. Ma il risultato è stato un asservimento ancora più grave […] gli usurpatori comunisti hanno dato al popolo non la libertà, ma la paura costante delle torture della Čeka, che per orrore superano di gran lunga quelle dei gendarmi zaristi […] Ma la cosa peggiore e più criminale di  tutte è la schiavitù morale introdotta dai comunisti […] obbligano a pensare come vogliono loro […] hanno incatenato gli operai alle macchine […] Alle proteste dei contadini hanno risposto con le fucilazioni di massa”. 

P.S. solo un appunto mi vien da muovere a queste testo: perché non è stato ricordato che la quasi totalità dei capi del bolscevismo avesse una origine ebraica? E perché non ricordare che poco prima di morire Stalin avesse iniziato una epurazione degli ebrei nei gangli del partito, dello Stato e della società civile nel più tipico stile sovietico-stalinista?


[Sotto, il quadro di Georgij Rublev (1902-1945), intitolato "Ritratto di Stalin" (1935), Mosca, Galleria Statale Tret'jakov]