lunedì 2 giugno 2025

A PIEDE LIBRO n.113 - Al di là della Grande Muraglia - Mario Appelius - Seconda ed ultima parte

A PIEDE LIBRO n.113
Intima ed irregolare rubrica Libraria - Anno V

(seconda ed ultima parte)

AL DI LÀ DELLA GRANDE MURAGLIA 

Tra le tante pagine stampate, e tra le più belle mai scritte da Appelius, si trovano quelle che riguardano il feroce Barone Unzern – Stenberg; Appelius venne a conoscenza di una serie di aneddoti grazie ad Olga Mikhàilovna, una donna russa, dalla bellezza sfiorita, una prostituta, una delle tante nel continente asiatico, una delle molteplici protagoniste che colpirono l'autore, perché pure lei faceva parte di quella grande tratta di donne bianche di cui non si è mai parlato per davvero, un tema che invece Appelius avrebbe voluto affrontare con un suo libro che però non uscì mai purtroppo.

Olga era una cosacca che da bambina, in fuga dagli stermini bolscevichi, si era aggregata alle truppe del Barone. 

Lui “Aveva sangue ungherese, tedesco e scandinavo nelle vene e si autoproclamava un «unno» discendente di Attila. Sui mongoli e sui tartari del seguito aveva grande ascendente. Parlava cinese, mongolo, tartaro, russo, tedesco, finlandese, svedese, ceco ed ungherese. Aveva una crudeltà mistica, strana ed impeccabile. Uccideva non per il gusto di uccidere, ma perché giudicava la crudeltà un «fattore indispensabile» della lotta senza quartiere che aveva impegnato contro il Bolscevismo”; tutto partì dalla città di Urga, Unzern – Stenberg aveva l'ambizioso e folle progetto di unire i popoli mongoli e altri in una sollevazione di massa, di creare una “razza unica” fondendo le tribù e di creare uno Stato “autonomo, aristocratico, buddista, guerriero, anti-giapponese”. Monarchico, credeva che gli ebrei fossero i “sostegni del Bolscevismo”, viveva nella più estrema frugalità, grande stratega militare conquistò territori su territori, instaurò un regime di terrore e di depredazione e rimase fino all'ultimo da solo, in piedi, a lottare contro i comunisti, fino a quando non lo uccisero e si liberarono di un nemico che non aveva avuto eguali fino ad allora. 

Uno dei punti più gravi di frattura politica a livello mondiale si trovava sull'Amur, il fiume di 4.400 chilometri, che separava gli eserciti russo e nipponico. 

Proprio sulla Manciuria, dal XVII sec., l'impero zarista aveva tentato di fiondarsi ed in effetti dopo vari tentativi, una guerra persa coi cinesi e con l'impero di Cina in decadimento, riuscì ad arrivarci ma poi fu arrestata dal Giappone all'inizio del XX sec., in quel caso aiutato degli inglesi che però poi, subito dopo, assieme agli americani, resisi conto della prepotente ed emergente forza dell'Impero del Sol Levante, fecero di tutto mediante ricatti, pressioni ecc. per fermarlo. 

Lo scontro tra Mosca e Tokyo sembrava vicino ma “Cui prodest'” scriveva Appelius proprio nel 1940: “Stanchi di svenarsi fra loro per fare in ultima analisi il giuoco anglo-franco-nordamericano, parecchi popoli incominciano a chiedersi se non convenga trovare una soluzione più utile ai loro problemi, cercandone la sistemazione globale in una diminuzione dell'ingiusta situazione di privilegio che hanno le tre nazioni egemoniche.

Due processi del genere si sono già verificati: 1° - l'intesa fra il Germanesimo e il Romanesimo sulla linea di frattura delle Alpi; 
2° - l'intesa fra il Germanesimo ed il mondo slavo sulla linea di frattura della Vistola. 
Un terzo processo analogo è forse in germinazione: l'intesa fra la Russia ed il Giappone sulla linea di frattura dell'Amur”. 

Se per vent'anni il “Bolscevismo slavo è stato il grande trionfo moderno di Israele”, un trionfo però solo parziale, in quanto in Italia immobilizzato dal fascismo, trapiantato successivamente con fortuna in Germania, Spagna e altrove, ora in non pochi vedevano degli aspetti positivi nel nazionalismo stalinista, certo era prematuro sbilanciarsi con giudizi affrettati, però  dei segnali ci stavano e sembravano evidenti, anche se da lì a poco l'intera questione si ribaltò completamente con l'avanzata ad Est del Terzo Reich e l'invasione dunque dell'URSS.

Dopo queste brevi considerazioni politiche, la registrazione del viaggio di Appelius proseguì in direzione della Corea, un Paese dalle straordinarie bellezze panoramiche, dalle primavere radiose e dagli inverni aspri quanto incantevoli, Paese dal quale filtrò, nei tempi passati, la grande cultura che andò introducendosi in Giappone: “È la Corea che ha dato al Giappone, il Buddismo, in Confucismo, l'arte della ceramica, l'industria della seta, la pittura, la scultura, l'architettura, le leggi e gli ordinamenti della madre Cina”. 

Solo che quello coreano era diventato ormai un popolo molle, debole, le cause erano diverse, dovute alle asperità e alla dolcezza dei posti e delle stagioni, al buddismo “una religione facile, spicciola e comoda” che aveva afflosciato le volontà del popolo, al “costante abbiosciamento del sangue cinese ogniqualvolta si è mescolato etnicamente con altro sangue asiatico”, al “quieto vivere” che era dilagato tra la gente da troppo tempo. 

Benché la Corea dal 1910 fosse diventata parte integrante dell'Impero del Sol Levante, le due realtà rimanevano distanti, tuttavia le autorità nipponiche, oltre a fissare delle limitazioni culturali tra i coreani, tentavano di omogeneizzare il tessuto sociale e “incominciano a combattere tutte le forme troppo nette di demarcazione […] I matrimoni tra le due razze, prima tacitamente osteggiati, sono oggi tacitamente favoriti” e incentivati lo erano intanto perché le donne coreane erano le più belle dell'Asia secondo Appelius, poi perché a fianco ai 20 milioni di coreani convivevano di fatto 5 milioni di giapponesi e inoltre l'immigrazione di questi ultimi andava sensibilmente aumentando, 500 mila nel solo 1939 erano entrati in pianta stabile nella penisola. 

In definitiva nel 'Paese del Mattino Calmo' in “esso la razza coreana si è  adagiata per secoli e secoli, vivendo in una povertà felice, trascurando i beni materiali che costano pena e fatica, contentandosi del sole, degli alberi e delle belle cose che fornisce il Creato”, solo che ora ci stavano i giapponesi e tutto procedeva e doveva procedere nel pieno ordine, nella perfetta precisione ed attività, così come i treni che per davvero arrivavano al minuto spaccato previsto. 

Anche la Corea non si chiamava più Corea ma Ciòsen e alla antica città di Seul se ne affiancava quindi un'altra ultra-moderna, veloce, frenetica, ripulita, nipponica appunto.

Il passaggio alle “Montagne delle Mille Beatitudini” ovvero alle montagne del Kongosan: 12.000 cime, una sorta di Svizzera dell'Estremo Oriente, luogo in cui per secoli pellegrini su pellegrini si son passati il testimone, costruendo conventi, rifugi, osservatori e Budda di tutte le dimensioni, fino ad arrivare sul Bírobo, da dove si vedeva l'interminabile schiera di punte montagnose, la Manciuria, il mar del Giappone e una infinità di laghi, fiumi e altri spettacoli della Natura: “È una grandiosità sublime!”. 

E poi di nuovo giù verso le affascinanti scogliere che si affacciano sul mare delle coste orientali della Corea per arrivare all'Hokkaido e rimbarcarsi ancora ed avere come meta le isole Kurili, un arcipelago di proprietà del Giappone, ricco di petrolio, strappato ai russi con la guerra russo-giapponese (inglobato dopo il secondo conflitto mondiale dall'URSS) e dove vivevano una parte degli Ainu, la antica razza aborigena nipponica. 

Dopodiché sull'isola di Sachalin (prima in parte occupata dai sovietici e dai giapponesi, poi dopo la guerra solo sovietica e tuttora russa).

Quelle erano diventate zone calde, i bolscevichi erano a due passi, gli americani poco più, lo stretto di Behring faceva gola alle due super – potenze e il Giappone da tempo si era stancato di esser trattato come un Paese di terzo ordine.

Anche là, come in Corea, gli occhi avevano il loro bel da fare di fronte ad una fauna e una flora rigogliosissime e ad una sfilza di vulcani che rendevano sempre unico al mondo questo posto.

Infine a Sikka, l'ultima città dell'isola al confine, davanti alle truppe dell'Unione Sovietica, sito in cui si poteva assistere alla terribile caccia alle lontre nella baia di Terpienva . 

Ci sta infine un interessante dato antropologico riportato da Appelius in quest'ultimo incredibile suo viaggio. 

Tenendo presente che, una volta diventato viaggiatore e scrittore di professione, in America ci aveva passato 8 anni della sua vita, 5 in Asia, fece una analisi che riportò nel capitolo “Fantasia azteca e incaica”, ricordando le varie teorie sulla nascita delle civiltà americane precedenti alla scoperta di Cristoforo Colombo: quella etiopica, quella risalente al mito di Atlantide, quella fenicio – cartaginese, ma dal canto suo, essendo un ineguagliabile viaggiatore e osservatore, chiudeva la questione in questo modo: “Sia permesso ad un profano che ha molto viaggiato e ha molto veduto, affermare tranquillamente che l'Etiopia e Cartagine e la medesima cosiddetta Atlantide (della quale resterebbero solamente i sommi pinnacoli nei picchi delle Azzorre e delle Canarie) non hanno nulla a che vedere con gli Aztechi, coi Toltechi, coi Maya, coi Maya – Quiché e con gli Incas di America la cui origine asiatica – puramente asiatica – è chiarissima, evidente, indiscutibile per chiunque abbia visto ed osservato da vicino i cinesi, i giapponesi, i coreani, i manciú, i mongoli, gli annamiti ed abbia riconosciuto nei loro tipi, nei loro usi, nelle loro credenze, nelle loro suppellettili, nei loro modi di lavorare, i segni precisi, inconfondibili, schiaccianti della loro stretta parentela con le varie stirpi che fiorirono sul continente americano prima che vi arrivasse – distruttrice, conquistatrice e creatrice di nuove civiltà – la grande razza bianca”. Una migrazione che era avvenuta probabilmente con l'attraversamento dello stretto di Behring.