Onatskyj, giustamente, iniziava il discorso dicendo che una nazionalità non necessariamente coincideva con la lingua adottata da una popolazione ma rilevava ugualmente quel che nel 'Mein Kampf'' era stato scritto:
“È un grave errore il credere che, poniamo, un Cinese e un Negro diventi un Tedesco perché impara il tedesco [...] Il nostro mondo borghese non ha mai capito che una simile germanizzazione è, in realtà, una sgermanizzazione […] Troppo spesso nella storia accade che un popolo conquistatore riesca, grazie ai suoi mezzi di potenza, ad imporre ai vinti la propria lingua, e che dopo mille anni la sua lingua sia parlata da un altro popolo e quindi i vincitori diventino i veri vinti”.
Tuttavia e non a caso, subito dopo le affermazioni di Hitler, l'intellettuale ucraino riportava nel suo saggio un breve estratto della 'Dottrina del Fascismo':
“Il diritto di una nazione all'indipendenza deriva non da una letteraria e ideale coscienza del proprio essere, e tanto meno da una situazione di fatto più o meno inconsapevole e inerte, ma da una coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto: cioè una sorta di Stato già in fieri”. Da buon filo-fascista qual'era, quindi, riconosceva le rivalutate e aperte politiche di Roma antica rispetto ai popoli assoggettati nei secoli.
Sul “Problema della comune origine delle lingue slave”, gli slavisti, al Congresso tenutosi a Varsavia nel 1934, avevano cercato di dare una o più soluzioni, eppure una chiara risposta in un certo qual modo l'aveva data in altre sedi un altro linguista - l'ucraino Smal Stozkyj - così riassumibile: “La lingua ucraina trae la sua origine direttamente dall'antica lingua slava, comune a tutte le tribù slave. Nei secoli VI e VII d. C. la maggior parte di queste tribù emigrò dalla sua patria d'origine fra la Vistola ed il Dnipro verso il Sud, l'Ovest ed il Nord. Le tribù slave, che formarono poi il popolo ucraino, rimasero invece press'a poco nei loro luoghi nativi, espandendosi più tardi all'Est, attraverso il Dnipro (Dniepr), ed occupando quei luoghi al sud e all'ovest della patria slava, abbandonati dalle tribù emigrate”, con questa grande emigrazione aveva fine la “vita slava comune” e “nel secolo IX, con l'organizzazione dello Stato di Kyjiv, le tribù slave di Polani, Derevlani, Volynjani, Buzani, Dulibi, Tiverzi e Sivera formarono il popolo che prese il nome della terra dei Polani – Russ – cioè il popolo conosciuto attualmente sotto il nome di ucraino”. Nessuna delle lingue di queste tribù sostituì le altre all'interno di questo nuovo agglomerato, piuttosto il bulgaro poi ucrainizzato subentrò come lingua scritta specialmente nei testi ecclesiastici. Nel XIV secolo l'evoluzione di quell'idioma si affermò dunque in Ucraina, in Lituania e in Moldavia eppure la lingua parlata continuava a resistere alle ufficializzazioni, tant'è che ottenne il dovuto riconoscimento, infatti proprio a partire da quel secolo si potevano distinguere grosso modo quattro modi di scrivere e parlare: 1) il bulgaro; 2) il moldavo; 3) il moscovita; 4) il russo ovverosia l'ucraino. Questa identità nazionale del linguaggio iniziò a subire dei contraccolpi quando una serie di ucraini rimase condizionata dalla sempre più dominante cultura moscovita e quando molti intellettuali scelsero di trasferirsi nel grande polo abitativo e culturale di Mosca.
Dopodiché le restrizioni legislative, le multe, le condanne, i divieti di pubblicare libri in ucraino o la loro revisione e correzione, persino i roghi di testi in ucraino stampati in precedenza, la proibizione di insegnare negli istituti scolastici le lingue non russe, fecero il resto. Se intorno alla metà del XVII secolo si era affermato un primato ineguagliabile poiché “tutti e perfino le donne e le ragazze sapevano leggere. Ogni villaggio aveva la sua scuola. Cento anni più tardi nell'Ucraina della riva sinistra del Dnipro si contavano ancora 866 scuole”, qualche decennio dopo era tutto stato cancellato dal dominio moscovita. Nonostante ciò, grazie ai canti e ai cantori popolari ambulanti (kobsari o banduristi) e grazie alle popolazioni più rurali ed isolate si salvò molto di quel che voleva esser eliminato. Nel XVIII secolo in effetti un primo successo lo ottennero le poesie in ucraino ma le nuove coercizioni moscovite, anche e per certi versi soprattutto in ambito religioso, rimandarono questa riemersione. Nel frattempo il grande pensatore e poeta Scevchenko fu costretto all'esilio diventando in breve uno dei padri della Patria negata, e il termine ucraino e altri riconducibili alla cultura ucraina furono banditi. Con lo zar Alessandro II, a periodi alterni, si allentarono le misure coercitive per poi esser di nuovo ripristinate ma è soprattutto nella Galizia, regione sotto il controllo polacco per quattro secoli (poi passata all'Impero austro – ungarico quando si acquisirono le libertà fino ad allora schiacciate anche dai polacchi), nella Bucovina e più in generale nella Rutenia, che l'identità nazionale ucraina rimase intatta e forte e funse in seguito da centro propulsore fino alla nascita della Nazione-Stato avvenuta nel 1917 ma già verso la fine del XIX secolo l'ucraino rifiorì nei documenti ufficiali e nelle opere letterarie.
Onatskyj infine diceva che bisognava “distinguere quattro dialetti: il dialetto meridionale, il dialetto nord-ucraino, il dialetto galiziano e quello dei Monti Carpazi” e che questi dialetti, al contrario di quelli italiani, si differenziavano più che altro per le “differenze fonetiche” e quelle “morfologiche”; aggiungeva che, tra tutte le lingue slave, delle somiglianze notevoli l'ucraino le aveva con il serbo-croato e che quella ucraina era “la lingua più adatta al canto” vista l'assenza delle consonanti multiple e l'ampio uso delle vocali che rendevano armoniosi e melodici i suoni delle voci. Qualcosa, seppur molto poco, è rimasto pure delle repubbliche marinare di Genova, Pisa, Venezia che su quei territori stabilizzarono i propri uomini per lungo tempo col fine di sviluppare il commercio ecco perché qualche termine italiano è stato col tempo ucrainizzato (scrigno = scrinja; calamaio = calamar; barile = barilo ecc.).