(Intima ed irregolare rubrica Libraria) - Anno III
L'EURASIATISMO
Oltre i nazionalismi, pur conservando le identità nazionali, contro i razzismi pur tutelando le specificità etniche, al di là delle posizioni di destra e di sinistra, in opposizione al materialismo e all'individualismo occidentale, l'Euroasiatismo ha questo approccio concettuale, scaturito dalle origini e dalle contaminazioni della Grande Russia, slave-turche-mongole, cristiano-islamiche-buddiste, e dalla teorizzazione di un pensiero formatosi agli inizi del XIX sec. per l'affermazione di una Civiltà, quella russa, che aveva visto tra le migliori espressioni di sempre in Dostoevskij sintetizzabili con la sua frase scritta ne “L'idiota” e che è diventata un inno politico del movimento: “Chi ha rinunciato alla sua terra, ha rinunciato anche al suo Dio”.
Uno dei riferimenti del movimento è quello segnalato da Nicola Alexeiev: la 'demotia' ossia la partecipazione attiva del popolo ai destini della Nazione, il che significherebbe automaticamente escludere sia gli autoritarismi più estremi che le democrazie rappresentative, e accettare una società dove “niente può essere considerato come totalmente privato”.
Se il sovietismo, col suo dogmatismo marxista, in parte ha bloccato il processo eurasiatico, è anche vero che “l'inconscio collettivo russo” è sopravvissuto nel tempo, così come la “etnogenesi”, lo “spazio come destino”, il “luogo come sviluppo”, e tutto un insieme di potenzialità indispensabili per uno slancio verso il futuro fino a quel “superethnos” e dunque all'Impero come fine ultimo.
Per il completamento di questo processo non rimane che la Rivoluzione Conservatrice, un modello alternativo e in contrapposizione al liberalismo e al marxismo, ma anche un superamento del vecchio e andato conservatorismo ben intravisto da una classe di intellettuali a partire dagli anni Venti.
La formula di base rimane quella del “patriottismo più socialismo russo” assieme a quella della “filosofia della mondializzazione multipolare”. Formule di per sé che potrebbero esser considerate per certi versi persino universali, dato che anche coloro che si trovano fuori dalla sfera di interesse geografica potrebbero aderire a questa linea di pensiero e a questa “sfida globale” alla monopolarità americana.
Non casualmente tra i fondatori del movimento Eurasia (Evrazija), nato nel 2001, ritroviamo un uomo vicino proprio a Putin, Gleb Pavlovsky. Il movimento e il partito poi ebbero alterne fortune, di sicuro il clima intellettuale che si respirava e che si respira tuttora sembra aver lasciato il segno nella classe politica, accademica e culturale nell'intero Paese, ecco perché Putin già il 13 novembre 2000 diceva: “la Russia si identifica in generale con una nazione eurasiatica”.
Quel che l'Eurasiatismo propone è perciò un mondo multi – polare, costituito da differenti zone di influenza: i “Grandi Spazi”, una idea sviluppata da Carl Schmitt e che, a detta del Dugin, è ben conosciuta da Putin.
Il mondo secondo questa concezione si dovrebbe dividere in 4 grandi aree: il continente americano, l'Eur – Africa, l'Asia – Pacifico e infine l'Eur – Asia ossia la Russia e l'Asia centrale. Un “Grande Spazio” corrisponderebbe a una Civiltà, ovvero a tutta una serie di costumi, valori, visioni sociali e politiche di uno o più popoli.
Dugin è altrettanto molto preciso nell'elencare quali Stati siano eurasiatisti o potenzialmente tali.
La Polonia e altri Paesi baltici, benché abbiano ricevuto nel tempo dei condizionamenti eurasiatisti, rimangono europeisti.
Le nazioni balcaniche, Serbia, Romania, Bulgaria, Montenegro, Macedonia hanno fatto propri entrambi i posizionamenti.
Il Kazakhistan è il Paese più eurasiatista di tutti ma lo sono anche quelli che formano la cintura delle Repubbliche ex sovietiche asiatiche (Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan).
La Manciuria “è russa”, l'Afghanistan è una specie di terra di transito per la Russia, il Pakistan e l'Iran e proprio l'Afghanistan assieme alla Turchia, viste le loro tendenze, potrebbero stringere una strettissima collaborazione con il blocco eurosiatico, come in generale un certo Islam non integralista, che, al contrario del protestantesimo e del cattolicesimo secolarizzati e svenduti alla civiltà modernista, ha ancora molto da offrire all'interno di una visione tradizionale e futura del mondo.
La Cina ovviamente, avendo la sua totale indipendenza, è altrettanto chiaro che non può non avere una alleanza col fronte eurasiatico in funzione anti – americana.
La Georgia pur essendo fondamentalmente eurasiatista rappresenta un problema politico non indifferente, in quanto continua ad inseguire la NATO, comportandosi apertamente come nemica della Russia, supportata dagli americani che hanno tutto l'interesse a destabilizzare anche quell'area.
L'Ucraina invece vive una spaccatura interna sin da sempre, ad Ovest l'occidentalizzazione, ad est la russofilia o russofonia, una crepa che poi è esplosa in modo drammatico e fragoroso con l'invasione russa iniziata il 24 febbraio di questo anno.
Queste ultime due nazioni da tempo stanno inoltre mettendo sul serio a rischio gli equilibri politici internazionali, con le loro rivoluzioni arancioni e appunto i loro accordi con la NATO.
L'Eurasiatismo però, almeno nella sua teoria, “non consiste nell'imporre la propria identità agli altri, ma al contrario nell'aiutare tutte le distinte identità ad affermarsi” in quello spazio naturale e vitale (“luogo – sviluppo”) del popolo in questione.
Quindi il centro del “Grande Spazio” dovrebbe far da guida ma lasciare l'autonomia agli spazi limitrofi e rispettare appunto le diversità di qualsiasi origini e derivazione.
Oltre quindi una Russia – Nazione, che nazione non è mai stata avendo avuto un retaggio antico imperiale, una Russia che sappia unire con un cordone ombelicale la storia dello zarismo all'Unione Sovietica, quando per Impero si intende un fenomeno che si basa essenzialmente su 3 principi:
1) “l'esistenza di una missione storica o metastorica (sacra)”;
2) la “preservazione” delle etnie con tutte le loro sostanze culturali e tradizionali, quando invece il nazionalismo tenderebbe ad omogeneizzare la società civile;
3) il “controllo di un grande spazio” dal quale irradiare la propria missione ed espansione. Un Impero eurasiatico che dovrebbe erigersi su alcuni principi classici del cristianesimo ortodosso, nel rispetto della “eredità” più prettamente asiatica che ha avuto origine dai lontani tempi delle conquiste mongoliche, sugli assiomi della filosofia tradizionale che fa capo a Evola e Guénon, sul “federalismo” fondato sul concetto di “sussidiarietà” politico centrale – periferico, su una democrazia “organica” e direttamente “partecipativa” e quindi in controtendenza a quella rappresentativa occidentale che porta con sé distorsioni e scompensi sociali, economici e alienanti. Una economia di mercato certamente ma in combinazione con quella locale, artigianale, eretta su un socialismo solidale.
Perciò liberalismo e socialismo andrebbero utilizzati nella giusta misura, presi in considerazione per i loro aspetti positivi e non auto – distruttivi, trattati caso per caso in modo pragmatico e non più dogmatico.
In definitiva tutto ciò servirebbe a ribadire che, senza una Russia “grande potenza”, il multipolarismo, questo multipolarismo, e quindi il frazionamento del potere anti-globale, sarebbe irrealizzabile.
PUNTI CRITICI
Ne segnalo solo alcuni:
1) “I nazionalismi moderni […] non insorgono tanto contro gli Stati Uniti quanto contro le altre nazioni”; i nazionalisti “lavorano contro gli interessi dei loro popoli”, altri sono “mossi solo dalla xenofobia e dall'odio dell'Altro, sono politicamente incolti”, infine lo “Stato nazione è oggi incapace di garantire la sovranità”.
Che taluni nazionalismi possano tornar utili al progetto mondialista di stampo statunitense non ci son dubbi, ma si tratta di superficiali e minoritari nazionalismi almeno rispetto al passato. Il nazionalismo, di per sé, è risaputo che è un ostacolo alla globalizzazione, ai mercati e a tutto quel che ne consegue.
Quando perciò si parla di nazionalismo innanzitutto bisognerebbe puntualizzare alcune specificità e poi impegnarsi a distinguere tra i nazionalismi reali e quelli strumentali, altrimenti si rischia di cadere nel qualunquismo come, d'altra parte, ci si scivola quando si dà la patente di “incolto” un po' caso.
2) L'Europa non appartiene “allo spazio eurasiatico”. Se le parole hanno un senso basterebbe cambiare il termine eurasiatismo in russasiatismo, sarebbe senz'altro molto più corretto e comprensibile.
3) L'URSS “pur proclamando l'abolizione dell'Impero, ha creato una forma di Stato in cui le etnie e le culture locali sono state riconosciute e preservate”. È molto discutibile una affermazione del genere, anche perché molte minoranze, liquidate, deportate o costrette ad omologarsi avrebbero molto da ridire a tal proposito.
4) “la lingua ucraina è stata creata artificialmente nel XIX secolo dai polacchi”. Una asserzione di questo tipo lascia piuttosto perplessi, chiaramente il fine di Dugin è prettamente politico, ma, altrettanto chiaramente, la sua è una falsità sulla quale tornerò in un prossimo numero di questa rubrica, riportando le parole di Onotskyj, un intellettuale ucraino della prima metà del secolo scorso.
5) “bisogna ammettere che l'Europa, che in passato fu una grande potenza, è probabilmente destinata a ridiventarlo in avvenire”. Temo che chi abbia questa convinzione non conosca lo stato di salute della nostra povera e moribonda Europa, ormai diventata un colabrodo sotto tutti i punti di vista. La speranza sarà pure l'ultima a morire ma mi pare proprio che solo quella ci sia rimasta e ben poco altro.
6) “il tentativo abortito di Hitler di imporre all'Europa e al mondo un ordine nuovo che non era altro che una triste caricatura delle idee della Rivoluzione Conservatrice” è un grossolano errore storico e direi persino politico. Basta conoscere un po' la storia del nazismo per non sbilanciarsi così in modo approssimativo e non c'è molto altro da aggiungere.
Prima parte: