In Italia venne considerato “il primo ucrainista italiano”, tuttavia era un ucraino a tutti gli effetti. Classe 1894, nato a Hluchiv, da ragazzo si distinse in alcune organizzazioni politiche e culturali giovanili. Nel 1919, in disaccordo con i social - rivoluzionari al governo (in quel momento indipendente), decise di lasciare la sua terra per arrivare infine in Italia, diventando membro della Missione Diplomatica Ucraina, proprio a partire da quell'anno fino alla fine della missione stessa nel 1923. Dopodiché proseguì la sua permanenza collaborando con una serie di riviste e lo fece anche come referente dell'OUN (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini).
Onatskyj anticipò tanti altri suoi colleghi che, con la sovietizzazione dell'Ucraina, da transfughi, presero la strada verso altri Stati, tra i quali proprio l'Italia fascista, che li accolse offrendo loro, come mai avvenuto in precedenza, molti strumenti e finanziamenti per lavorare, vivere e diffondere la loro idea nazionale.
Diverse furono le sue traduzioni di classici della letteratura mondiale, inclusi quelli di Pirandello, ma non si possono non menzionare il “Pinocchio” oppure “Cuore”, però la sua opera tuttora più importante fu la pubblicazione del vocabolario ucraino – italiano nel 1941. Specialmente grazie a Luigi Salvini ebbe modo di affermarsi nel 1937 in ambito accademico, diventando professore di lingua e cultura ucraina all'Università di Napoli e lettore in quella di Roma.
Una breve polemica scoppiata nel 1929, tra il Principe russo Volkonskij e Onatsky, può dare una qualche chiarezza in più sulla annosa questione nazionale ucraina. Va puntualizzato che proprio nel 1929, precisamente a gennaio nella città di Vienna, ci fu il congresso costitutivo dell'OUN (Orhanizatsiya Ukrayinskyć Natsionalistiv - Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini).
Volkonskij se la prendeva con un certo “metodo storico” di alcuni “storici ucraini”, un metodo che “non risale dal passato al presente, ma segue senza tante cerimonie la direzione opposta […] Oggi esiste una non trascurabile quantità di individui di sangue russo, i quali non desiderano assolutamente di esser tali, che odiano dai precordi la propria razza di un odio patologico, facendosi chiamare ucraini […] Il signor Onatsky è un degno seguace di questa «nuova scuola», Ucraino convinto, egli non dubita probabilmente di quello che dice” solo che “Fino all'invasione tartara […] la terra russa, durante 400 anni non s'è chiamata altrimenti che «Russ»” ('Coma la storia della Russia premongolica può divenire una questione di attualità' in “L'Europa Orientale”).
Onatsky, da parte sua, rispose dicendo che le parole Ucraina e ucraino “non sono serviti che in un periodo recentissimo a designare la totalità del popolo dell'Ucraina […] che attraverso la sua storia millenaria ebbe un'infinità di nomi diversi – russo, rosso, ruteno, piccolo-russo, russo meridionale, circasso, rusino, cosacco, chichol e ucraino. Tutte queste variazioni della terminologia portarono […] a «numerose confusioni» […] le quali hanno servito anche a moltissime «speculazioni politiche» da parte dei vicini di questo popolo «dai molti nomi»” ('Russia e Ucraina' in “L'Europa Orientale”).
Qualche anno dopo ancora Onatsky: “speranza ed aspirazione cioè, alla vita indipendente e libera da ogni sopraffazione stranire, le quali, è ovvio dirlo, non potranno appieno realizzarsi se non nel loro Stato nazionale, indipendente e sovrano. Di ciò del resto, gli artisti ucraini son ben consci!” scrisse sul “Corriere Diplomatico e Consolare”, il 31 luglio 1938, in occasione della Mostra d'Arte Grafica Ucraina che si teneva a Roma al Teatro delle Arti, sotto il patrocinio della Confederazione Fascista dei professionisti ed Artisti.
Nel drammatico 1943, caduto Mussolini, anche per Onatskyj iniziò a mettersi male. Arrestato dai tedeschi per propaganda anti-nazista fu incarcerato in Germania e scarcerato nel 1944.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale l'aria era cambiata del tutto, lui come molti altri suoi connazionali, e non solo, accusati di fascismo, si trovarono costretti a ripartire per raggiungere altri lidi più favorevoli. Lui sbarcò in Argentina e là gli fu data la possibilità di continuare le sue attività culturali e giornalistiche. Soltanto nel 1977 riuscì a dare alle stampe il progetto interrotto dalla guerra e dalla sconfitta dell'Italia, quello del vocabolario italiano – ucraino.
Morì a Buenos Aires il 27 ottobre 1979.