CAP. VI – La vita dopo la vita. Antiche tradizioni e cerimonie funerarie ucraine

Grazie ai rurali, che rappresentavano il 90% della popolazione, le tradizioni e il sentimento nazionale, a partire dalle antiche “origini della razza indoeuropea”, continuavano a tramandarsi di padre in figlio, eppure, anche per quel che concerne i riti funebri, su tutto il territorio si potevano rintracciare differenti anche se spesso simili usanze, riscontrabili inoltre in altre Civiltà precedenti e contemporanee. Le tradizioni più antiche, ossia quelle pagane, poi si fondevano talvolta con quelle cristiane.

La Morte, come un po' per tutti i popoli, si presentava con un aspetto malandato, in là con l'età, spesso era una donna anziana che in mano teneva un qualche arnese. Nello specifico, in Ucraina, se qualcuno moriva all'improvviso voleva dire che la Morte aveva ucciso con la falce, se qualcuno moriva lentamente voleva dire che la Morte in quel caso aveva fatto uso della sega.

La Morte poteva preannunciare la sua venuta graffiando sotto la finestra di casa, poteva semplicemente bussare alla porta o alle imposte e chiamare per nome il predestinato. Il momento fatidico poteva esser anticipato dalla caduta o dalla rottura di un oggetto caro o sacro oppure del classico covone ('did' in ucraino) che si teneva negli ambienti familiari per buono auspicio.

Dormire con gli occhi aperti significava lasciarsi sfuggire la propria anima e quindi perdere la vita anche se poi si credeva che l'anima potesse lasciare le membra con l'ultimo respiro esalato; scricchiolii della mobilia o dei muri, specialmente nel periodo natalizio non rappresentavano nulla di buono. Altri annunciatori di funesti eventi potevano essere il cuculo che si posava sul letto del prescelto, il picchio che col suo becco batteva sulle pareti di casa, la civetta che urlava, il cane che abbaiava in modo insolito e insistente, la cornacchia che strillava per tre volte davanti alla finestra ecc.

L'uomo disonesto, lo stregone ecc. non potevano non fare una fine terribile, in ogni caso se il tormento insopportabile rallentava il decesso spettava ai cari ridurre quella pena e aiutare il parente a trapassare, magari distendendo il corpo del malato per poi, al calar del Sole, posargli sopra una candela accesa, la stessa del giovedì di Passione preferibilmente, pure per illuminargli la nuova via da intraprendere. Bisognava sciogliere nodi, dischiudere le serrature, aprire le finestre, le porte e semmai fare un buco sul tetto per facilitare l'uscita dell'anima. Coloro che invece assistevano il moribondo non dovevano assolutamente piangere o disperarsi poiché, in questo modo, non avrebbero fatto altro che tenere assieme la sua anima alla sua massa corporea, ecco perché, a volte, su di lui si stendeva un lenzuolo bianco, per isolarlo dalla atmosfera di tristezza e dolore che lo circondavano. Assolutamente lontano dal moribondo dovevano stare le semenze, a rischio vi era altrimenti l'intero raccolto.

Compiutosi il triste accadimento si doveva innanzitutto chiudere le palpebre del defunto, sennò i suoi occhi avrebbero potuto portare con sé altre persone presenti e poi si doveva avvisare istantaneamente il prete più vicino affinché suonasse le campane della chiesa, solo a quel punto i parenti si potevano allontanare dal capezzale del proprio caro che fino ad allora, in caso di isolamento, avrebbe rischiato di perdere il suo spirito in favore del diavolo. In altri posti invece questa presenza durava più a lungo, anche per giorni e giorni interi. A corpo ancora caldo lo si doveva lavare e vestirlo col migliore degli abiti e sopra vi si apponeva una croce di legno o di cera. Alla defunta si fasciavano accuratamente le caviglie affinché potesse sostenersi meglio per il viaggio che l'avrebbe portata nell'al di là, invece al fianco del defunto si deponeva un bastone per permettergli di sostenersi lungo quel tragitto che lo avrebbe condotto a quell'eterno riposo rintracciabile nel modo di dire ucraino: “Quando morremo ci riposeremo”.

Si faceva costruire subito la bara e si prendevano le misure con un bastoncino di giunco, da qui l'altro detto: “Che sia misurato dal giunco” ovvero che muoia. I trucioli del legno utilizzato si bruciavano in un punto non di passaggio per i viventi, due di essi a forma di croce li si deponevano sotto la testa del trapassato per evitare di far errare la sua anima nella notte. Accanto al corpo poi si poteva mettere un altro bastoncino, stavolta di carrubo, per tenere lontani gli spiriti, in alcune province invece si lasciava dello spago affinché il deceduto potesse salire verso il cielo più facilmente e vi si lasciavano pure dei denari “Perché non stia troppo tempo presso la porta del Cielo” e “Per pagare il suo posto ai defunti, morti prima”, infine il fondo della cassa era ricoperto da fiori ed erbe aromatiche quali la menta, il basilico ecc.

Comunque finché la salma non veniva portata via per il seppellimento, era categoricamente vietato spazzare o imbiancare le pareti, si doveva persino fare attenzione a pulire la sedia prima di sedercisi, tutto ciò serviva per non fare del male all'anima che poteva essersi trattenuta sul posto.

In alcune province ucraine era usanza pure mettere dell'acqua sul tavolo, per permettere all'anima di rinfrescarsi al momento della fuoriuscita, un'anima che si allontanava sotto forma di farfalla, mosca, vapore o uccellino; in altri luoghi si metteva vicino al bicchiere pure del miele che poi il terzo giorno, prima del corte funebre, veniva offerto con del pane agli astanti.

Come dappertutto era obbligatoria la veglia, soltanto che in Ucraina questa riunione familiare e amicale diventava una vera e propria festa, dove si parlava, si scherzava, si giocava e si mangiava e dove pare che in taluni casi non fossero neppure esclusi i giochi erotici, probabilmente un residuo della cultura di epoca romana, per il rinnovamento energetico, della vitalità, della fertilità e di buon augurio di fronte a quella fine che aveva posto un limite umanamente insuperabile. I presenti potevano anche tirare le gambe al deceduto o gli facevano il solletico per poi chiedergli di svegliarsi ed alzarsi. Un modo ironico come un altro per accertarsi che la catalessi invece che la morte avesse colpito in realtà quell'individuo. Con l'affermarsi del cristianesimo naturalmente tutte queste pratiche scomparvero, ma più che altro nei grandi centri, meno nei villaggi.

Solitamente il funerale avveniva tre giorni dopo la dipartita, la cassa veniva fatta sbattere prima tre volte sulla porta di casa, poi veniva fatta passare non dall'accesso del cortile ma sopra la sua cinta muraria, dopodiché il portone dell'edificio non lo si riapriva fintanto che non scompariva il corteo. Nel mentre si cospargevano di grano le stanze, si poggiava una forma di pane su un tavolo e le persone per tre volte dovevano fare il giro di quella tavola dopo esser state bagnate da un'acqua purificatrice. Nella zona dei Carpazi era buona abitudine, da parte dei familiari, osservare un albero verde e proferire la seguente frase: “Come quell'albero è sano, così sono sano anch'io”, mentre in Galizia uno dei parenti afferrava una brocca d'acqua e la sbatteva, rompendola, sull'uscio di casa.

Durante il percorso che avrebbe portato l'estinto alla tumulazione era buona accortezza non passare per i campi per non danneggiare i frutti della terra.

Le ultime offerte cibarie avvenivano durante la inumazione. Le gambe del deceduto erano orientate verso est perché da Oriente sarebbe avvenuta la resurrezione di Cristo, se però con il Cristianesimo l'incenerimento veniva di fatto abolito è pur vero che rimaneva la pratica di lasciare acceso un lume sulla tomba a mo' di purificazione e di proiezione verso i cieli dell'anima. Ognuno dei presenti gettava con la propria mano una manciata di terra sopra la cassa, ma se uno di loro veniva colto da disperazione, pianto ecc. tra il collo e il colletto veniva posta un po' di terra della sepoltura per renderlo mansueto e in taluni casi questa usanza veniva rieseguita anche dopo i funerali, in altre contesti familiari e con altri oggetti appartenuti alla persona scomparsa.

Nel caso di sospetti stregoni si punzecchiava le membra con la lesina o si piantava nel petto un palo di pioppo per scongiurare il vampirismo che poteva generarsi a causa di bambini non battezzati.

Inoltre si credeva che i ladri, prelevando lo stinco del morto e riempiendolo di sego per poi accenderlo come se fosse una candela, usassero l'osso umano per fare il giro tre volte della casa e provocare un sonno di morte ai loro abitanti e così attuare il loro crimine.

Il pokijnyk (il riposante) in itinere però era tale solo se i suoi resti erano stati presi in consegna dalla terra, ecco perché un ucraino era terrorizzato di esser colto di sorpresa dalla morte nei boschi, dove i lupi potevano accanirsi sulle sue carni, o in luoghi comunque non abitualmente battuti. Da qui la popolare maledizione: “Che la madre terra non ti riceva!”. La mancata sepoltura dunque era una dannazione per la povera anima vagante che si trasformava in uno spettro in pena. La pratica dell'inumazione, consolidatasi più che altro con la diffusione del Cristianesimo, aveva anche generato dei vantaggi materiali non da poco, perché con la cremazione invece venivano inceneriti diversi oggetti che erano stati di proprietà del deceduto.

Nel caso di giovani venuti meno, la cerimonia funebre si trasformava in una sorta di meraviglioso matrimonio postumo. Al dito si infilava una fede di metallo, li si vestiva coi costumi tradizionali secondo il rito nuziale, alla ragazza si scioglievano i capelli che venivano adornati con nastri e fiori, al ragazzo nella bara si metteva il cappello con attaccato un fiore e al fianco si legava un fazzoletto colorato. Si preparava il pane che poi veniva distribuito ai partecipanti in casa e al cimitero e posto anche sopra la bara; in caso di morte di un ragazzo erano le giovani ('drujke') a trasportare il coperchio della cassa, nel caso in cui fosse scomparsa una ragazza erano al contrario dei giovani ('bojary') a portar via il feretro fino al cimitero. Bojary e drujke non erano altro che i testimoni nei matrimoni, in particolare uno di loro invece era il facente veci dello sposo o della sposa scomparsi.

Proverbi ucraini:

  • “Per la morte non c'è medicina”

  • “La morte non si inganna”

  • “Contro la morte non si combatte né colle lusinghe né colla forza”

  • “Non c'è giustizia nel mondo che nella morte: essa non vuol sapere chi è povero e chi è ricco”

  • “Quale la vita, tale la morte”