mercoledì 11 giugno 2025

A PIEDE LIBRO n.147 - Tre giorni alla catastrofe - Douglas Clark - Prima parte

A PIEDE LIBRO n.147
Intima ed irregolare rubrica libraria - Anno VI
 
TRE GIORNI ALLA CATASTROFE 
 
 Prima parte


È già un errore consueto il credere che nella Seconda Guerra Mondiale vi sia stata una cosiddetta parte giusta e una sbagliata e quindi una parte che lottasse per il Bene e l’altra per il Male, ma è un altro errore abituale pensare che in quell’immane conflitto le cose non potessero andare in altro modo, in modo completamente diverso, se non opposto.

Nel marzo 1940 gli anglo-francesi stavano per attaccare l’URSS, per soli tre giorni il progetto saltò, in caso contrario oggi gli storici avrebbero raccontato una storia ben diversa e il mondo attuale avrebbe avuto un volto altrettanto ben diverso.

Tutto ebbe inizio il 26 novembre 1939, nel villaggio di Mainila. 

Mosca lamentò l’uccisione di 4 soldati e del ferimento di altri a causa di un cannoneggiamento proveniente al di là del confine con la Finlandia. Il casus belli era pronto e a prepararlo erano stati i sovietici, ai quali ad oggi viene attribuita la responsabilità di quell’attacco. Ci fu l’immediata disponibilità finlandese a risolvere la questione, proponendo di portare avanti le indagini assieme a Mosca, intanto però Helsinki affermava altrettanto immediatamente che il colpo fosse partito dal territorio russo. Ciò fu considerato un “atto di ostilità” dal Ministro degli Esteri sovietico Molotov. Il 29 si interruppero i rapporti diplomatici, il patto di non aggressione stipulato il 7 aprile 1934 fu stralciato. 

Nessuna dichiarazione di guerra, il 30 novembre i russi attaccarono con i primi bombardamenti sulla capitale  finlandese.

D’improvviso 3 milioni e mezzo di finlandesi si trovarono contro 165 milioni di russi.

A capo delle forze armate finniche fu nominato il Maresciallo Gustav Mannerheim: “Questa guerra non è altro che la continuazione della nostra guerra di indipendenza, giunta al suo ultimo atto. Noi combattiamo per le nostre case, per la nostra fede, per il nostro paese” annunciò. 

Tre informazioni fondamentali vanno subito ricordate:

1) il Patto Molotov-Ribbentrop fu firmato il 23 agosto 1939 e più che un accordo di non belligeranza, come scoperto meglio in seguito, fu un vero e proprio accordo militare di spartizione territoriale e di competenze politiche. Grazie a questo accordo l’Armata Rossa occupò la metà della Polonia nel settembre ‘39;

2) Lettonia, Lituania ed Estonia persero del tutto la loro autonomia alla fine dell’estate del 1939, il Patto Molotov-Ribbentrop aveva lasciato mano libera a Stalin; la Finlandia, che aveva una sua autonomia benché limitata dallo zarismo russo, acquisì la sua indipendenza approfittando della Rivoluzione d’Ottobre ma l’URSS proseguì le mire espansionistiche degli Zar su tutti i fronti. Helsinki si avvicinò al Terzo Reich anche se il Patto Molotov – Ribbentrop scombinò gli equilibri in politica estera del Paese scandinavo; 

3) Gustav Mannerheim era un ultrasettantenne di grande esperienza, aristocratico, pluridecorato, si era sposato con la figlia di un generale russo dell’epoca degli Zar. Divenne a sua volta generale in Russia ed entrò a far parte dello Stato Maggiore russo dello Zar Nicola. Nel 1917, con la ‘Rivoluzione d’Ottobre’, fece ritorno in Patria. La Finlandia ottenne la sua indipendenza ma non fu tutto così facile, dovette capeggiare la resistenza anti-bolscevica fino alla vittoria definitiva del 1918, grazie all’aiuto anche dei soldati tedeschi. Dopodiché si ritirò a vita privata, per poi ricoprire la Presidenza del Consiglio della Difesa Finlandese dal 1931. Mannerheim era quindi un militare di grande esperienza, conosceva molto bene i russi ma era anche contrario ad uno scontro frontale col nemico, tant’è che fu pronto a dare le sue dimissioni, ritirate quando i sovietici attaccarono. In quel momento accettò l’incarico di Comandate in Capo delle forse militari finlandesi.

Le tensioni erano diventate gravi ben prima di quel novembre 1939. Infatti il 5 ottobre Molotov si era mosso in modo formale. I russi volevano rinegoziare le condizioni in precedenza accordate, chiaramente puntavano a limitare la sovranità finlandese. 

L’8 ottobre una delegazione di Helsinki andò a Mosca, rassicurando il Cremlino sulle loro intenzioni di mantenere la pace nei confronti di tutti.

Il 10 ottobre 1939 il Ministro degli Esteri tedesco Ribbentrop liquidò la faccenda così con il referente tedesco in Finlandia Wipert von Bluecher: “la Germania non è interessata ai problemi russo-finnici [...] potrebbe solo consigliare un accordo diretto tra le due Nazioni”. 

Più volte i finlandesi si rifecero avanti coi tedeschi, ma invano, la delusione fu grande, per la Germania era prioritario mantenere dei buoni rapporti con la Russia e ciò fu ribadito molte volte, tramite differenti note diplomatiche, e nei fatti senza ostacolare in alcun modo le decisioni di Mosca, anzi a fine 1939 ci fu perfino un piccolo attrito tra la Germania e l’Italia; i sovietici si erano lamentati coi nazisti per gli aiuti italiani alla Finlandia.

Berlino, dopo una serie di accertamenti, aveva garantito che i rifornimenti degli aeromobili italiani alla Finlandia si erano interrotti nell’ottobre 1939, cioè prima dello scoppio del conflitto. 

Lo sconforto in realtà colpì anche alcuni tedeschi, come ad esempio Bluecher, ma più delle altre rimane emblematica la scelta che fece il corrispondente dalla Finlandia, Otto Von Zwehl, il quale rischiò la rimozione dal suo posto e anche una punizione poiché aveva falsato i suoi comunicati per sollecitare un intervento tedesco in quel teatro di guerra. Zwehl lasciò carta e penna e si arruolò volontario con l’esercito di Mannerheim.

Ma cosa chiedeva di preciso Mosca? Quel che segue:

1) smilitarizzazione della Carelia;

2) spostamento del confine a sud di 80 chilometri, l’URSS avrebbe concesso alcuni territori a nord dell’istmo di Carelia in modo tale che Leningrado fosse fuori da qualsiasi eventuale pericolo militare diretto;

3) cessione all’URSS di parte della penisola Fisherman a nord del Paese;

4) cessione di 5 isole del golfo di Finlandia all’URSS;

5) affitto trentennale della zona del porto di Hango, dove i sovietici avrebbero lasciato 5.000 soldati e relative navi militari sempre per la loro protezione, o almeno questo era quel che dicevano.

Era una prepotenza bella e buona che aveva avuto inizio già nel 1938 con le prime pretese diplomatiche, Helsinki era disponibile ad arretrare le truppe e a cedere qualche isola, era invece contraria ad ‘affittare’ Hango e a smantellare le fortificazioni al confine. 

I rimpalli di richieste non portarono a nulla, non aiutarono neppure le intromissioni statunitensi, liquidate in modo diplomatico quanto distaccato dal Cremlino. 

Tuttavia gli Stati Uniti non si mossero un granché, il Congresso americano accolse con estremo ritardo le richieste finlandesi di finanziamento, tant’è che i finnici solo ai primi di marzo del 1940 poterono accedere a questi fondi finalmente concessi, seppur in modo ridotto.

Si arrivò alla guerra, sebbene alla radio il 29 novembre 1939, il giorno prima del bombardamento, Molotov parlava di una Finlandia “Stato sovrano e indipendente”, ovviamente la parola dei sovietici valeva meno di zero eppure un fondo di verità nell’affermazione di Molotov c’era, perché i russi, come dimostrato in Polonia, volevano impegnarsi militarmente solo in parte, poiché attendevano gli esiti dagli altri fronti, attendendo che i Paesi da loro considerati capitalisti consumassero le loro forze nella nuova Guerra Mondiale. 

Insomma nell’attesa avevano tutto da guadagnarci cinicamente.

Stalin disse al diplomatico finlandese Juho Kusti Paasikivi, il quale a suo volta gli aveva riferito che il suo Paese voleva soltanto vivere in pace con chiunque: “Le assicuro che è impossibile. Le grandi potenze non ve lo permetteranno”, in un certo senso Stalin aveva ragione e se ne accorse con l’Operazione Barbarossa, quando i finlandesi si schierarono con l’Asse per l’invasione della Russia.

Fatto sta che l’Armata Rossa si mosse come dovesse fare una parata, pensavano di chiudere la faccenda in poche settimane, il contraccolpo arrivò ben presto e fu micidiale. L’esercito bolscevico si infranse sulla cosiddetta ‘Linea Mannerheim’, che una ‘linea’ di fatto non era, in quanto aveva dei piccoli presidi, sparsi su un fronte di 1.500 chilometri, equipaggi ed armamenti non erano tra i migliori, i più moderni e numericamente erano inadeguati nondimeno avevano il vantaggio di combattere in casa, su un terreno impervio di suo e ancor meno agevole per via della stagione invernale.

L’aggressione stalinista da una parte apparentemente non provocò agitazione tra le alte gerarchie del Terzo Reich, in realtà più che altro fu il Führer a mantenere la calma e la parola data fino all’ultimo giorno di quel conflitto perché, come era ovvio che fosse, alcuni dei piani alti del partito e dell’esercito non presero di buon grado quell’assalto russo, una linea che poi prevarrà mano a mano nei mesi successivi, a partire dalla Primavera del 1940. 

Dall’altra parte, anche se di buoni motivi ne avevano avuti molti per cambiare idea, i vari partiti della Sinistra europea, se fino ad allora avevano simpatizzato nonostante tutto per la rivoluzione bolscevica, da quel momento in poi si schierarono contro Stalin, eccezion fatta per i comunisti, i quali son stati sempre senza tante discussioni agli ordini dell’URSS. 

L’opinione pubblica e i partiti inglesi e francesi scelsero subito di stare con la Finlandia, molte titubanze invece nacquero tra chi governava nel Regno Unito, i laburisti pur prendendo le distanze dal colosso sovietico si ritrovarono spaccati su tanti argomenti, i liberali erano in parte dubbiosi, i conservatori invece erano tra quelli più convinti nel fare qualunque cosa, pur di non far ristagnare ulteriori decisioni anche in quell’occasione. L’anticomunista per eccellenza Churchill, in quel momento Primo Lord dell’Ammiragliato, scrisse inaspettatamente in una nota del 27 ottobre 1939: “La Russia ha bisogno di queste basi soltanto per tutelarsi contro la Germania”, la libertà dei finlandesi “non sarà pregiudicata dalle basi russe” e quella eventuale postazione navale sovietica nel Baltico “non costituirà mai una preoccupazione per l’Inghilterra. Il vero temibile pericolo è la Germania”, bensì “È del tutto naturale che la Russia abbia bisogno di basi difensive contro un eventuale invasione tedesca di Leningrado”. 

In effetti in quel periodo le relazioni tra inglesi e russi erano andate riallacciandosi, i viaggi ufficialmente commerciali ma a sfondo politico del tuttofare Stafford Cripps e altri contatti diplomatici, dimostravano un interesse inglese e un non disinteresse russo. Il 16 ottobre l’ambasciatore sovietico a Londra aveva a suo modo rassicurato il Foreign Office dicendo: “Il mondo è incerto, di questi tempi, e nessuna alleanza è sicura”, una conferma in più che i sovietici erano già allora predisposti a rompere le alleanze strette coi tedeschi, era solo una questione di vantaggi, lo era per tutti. 

La “drole de guerre”, ossia “la strana guerra”, scoppiata tra Germania e Francia, in cui non si sparava un colpo dalla Linea Sigfrido alla Linea Maginot  e viceversa, spinse i troppo precipitosi francesi a credere di potersi impegnare su un altro fronte, appunto quello russo-finnico, con il fine tattico di allentare la tensione con la Germania e di spendere le proprie forze secondo gli ideali di giustizia e libertà per salvare l’innocente Finlandia.   
              
A dicembre l’Armata Rossa vide l’annientamento di interi reparti, la cattura di un numero impressionante di suoi soldati, una perdita considerevole di armi. I finlandesi si muovevano rapidi, colpivano in fretta, all’improvviso, sapevano spostarsi in velocità sulle nevi. 

I russi, rimasti sorpresi dalla Blitizkrieg tedesca, stavano cercando di imitare quelle tecniche ma l’impreparazione, la disorganizzazione e appunto un territorio non facile da percorrere fecero saltare per aria i piani di Mosca.

A fine anno il Paese scandinavo viveva giornate di grande euforia, Mannerheim sapeva però che a breve sarebbe cambiata aria.

Intanto la Società delle Nazioni aveva espulso l’URSS, cosa che non aveva fatto dopo l’occupazione della Polonia, e invitò gli Stati membri ad aiutare in qualunque modo la Finlandia. 

A seguito delle vittorie finniche e con l’intenzione di bloccare l’importazione del ferro che partiva dalla Svezia e arrivava alla Germania, ritenuta essenziale per l’economia di guerra tedesca, la classe dirigente britannica iniziò a pensare seriamente ad un intervento militare. 

C’era però un problema non da poco: aiutare la Finlandia avrebbe significato mettere in mezzo dei Paesi neutrali, quali la Svezia e la Norvegia, il che significava ledere alcuni diritti internazionali e scatenare chissà quale altra ipotesi di contro-reazione da parte nazista. 

Si accesero gli animi, si moltiplicarono i progetti militari, il tutto fece perdere molto tempo per una decisione che non arrivava e che non era semplice da prendere. 

Lo scontro più grande e duraturo avvenne tra Churchill e il ministro degli Esteri Edward F. L. Halifax, il primo orientato alla occupazione di alcuni porti norvegesi, l’altro invece favorevole ad una azione più decisiva e incisiva su tutta la Scandinavia per arrivare direttamente in Finlandia. 

Il Re di Svezia voleva un accordo di pace tra Germania e Inghilterra, a lui soprattutto premeva di non coinvolgere in quel conflitto la propria nazione, ma gli inglesi avevano già rifiutato le offerte di pace e le tante aperture e concessioni di Hitler, come era avvenuto già a Dunkerque ad esempio; per loro i tedeschi rimanevano i nemici da sconfiggere. 

Il 27 dicembre il Gabinetto britannico decise alla fin fine poco, se non “tutta l’indiretta assistenza in loro potere” al popolo finlandese.

Un rapporto del 31 dicembre 1939 dello Stato maggiore sembrò avvalorare le tesi di Halifax, aggiungendo poi che l’operazione sarebbe potuta iniziare nel marzo successivo.     
       
Gli inglesi da quei giorni di fine 1939 fecero pressioni su Svezia e Norvegia per far intervenire le due nazioni in favore della Finlandia, l’URSS accortasi dell’aumento delle attività anti-sovietiche in Scandinavia presentò le ufficiali proteste. 

Tuttavia Norvegia e Svezia anche nei mesi successivi dichiararono la loro ferrea scelta di rimanere neutrali, nonostante le violente accuse ufficiali e verbali subite dall’Inghilterra, specialmente di W. Churchill. 

Il Cremlino era preoccupato dalla eventuale estensione del conflitto e per questo motivo aveva tutto l’interesse a chiudere la partita in Carelia il prima possibile, in più Stalin non si fidava molto di nessuno, temeva un accordo tra Germania e Gran Bretagna, un ipotetico patto tra i due avrebbe potuto far scattare una congiunzione di idee tra le due parti in funzione anti-comunista e quindi anti-sovietica.    

A gennaio la maggioranza del Gabinetto di governo inglese optò per il ‘Piano Maggiore’, cioè l’invio delle truppe britanniche in Finlandia attraverso le neutrali Svezia e Norvegia, Churchill e il suo ‘Piano Minore’ per il momento erano stati battuti. In realtà quel che era sicuro per davvero era l’incertezza dei capi inglesi, la loro indecisione su tutto, il mancato avvio delle previste missioni militari, i ritardi su tutti i piani, le polemiche interne, ciò non fece altro che non disturbare l’aggressione sovietica e soprattutto non cambiò le sorti della Seconda Guerra Mondiale, che per pochissimo non furono altro rispetto a quelle che oggi conosciamo.