sabato 28 giugno 2025

A PIEDE LIBRO n. 34 - Cannoni e ciliegi in fiore [Il Giappone moderno] - Mario Appelius


A PIEDE LIBRO n. 34
(Intima ed irregolare rubrica Libraria) - Anno II

CANNONI E CILIEGI IN FIORE [IL GIAPPONE MODERNO]

“Il tempo dei ciliegi in fiore non è passato ancora...”
Principe Aki (3° Maki)

“Il Giappone vuole il suo posto nel mondo”
Principe Konoje

TRA KIMONO E ACCIAIO: 

“Il volume m'era dettato dal desiderio di contribuire a far conoscere al popolo italiano un elemento così importante del mondo moderno come è il Giappone”; l'Italia era entrata da poco in guerra  ed Appelius aveva cominciato a buttar giù la sua bozza sul Paese al mondo che più che lo aveva colpito e sì che di posti un avventuriero come lui ne aveva visti, poiché sin da ragazzino si era imbarcato inizialmente come mozzo. Questo divenne perciò “un libro di ghesce e di cannoni, di ciliegi in fiore e di Alti Forni, di danze sacre e di laboratori bio – chimici”, un testo appassionante su una nazione che era un “paradosso”, con una “struttura politica” che era “un capolavoro d'illogicità”, dove “Mille cose grandi e piccole urtano il nostro buon senso occidentale”. 

“Fino al 1860 il Giappone ha ignorato il resto del mondo”, chiuso in se stesso con la sua classe dirigente feudale, poi avvenne l'occidentalizzazione che però si affiancò agli “elementi fondamentali” della antica Civiltà senza cancellarli, quindi quel patrimonio (“la vitalità demografica, la frugalità, la laboriosità, la disciplina, l'altissimo amor di patria, l'orgoglio della propria nazionalità, la tenacia, la pazienza, la saggezza, lo spirito di sacrificio, le tradizionali virtù guerriere, il senso d'arte, l'attitudine commerciale, la capacità industriale, la fede in se stesso e nell'avvenire”) rimase incredibilmente intatto, anzi accresciuto dalla modernità. Era in atto la travolgente Rivoluzione modernista introdotta dall'Imperatore Tenno Meiji e avviata con la fine dello Shogunato.    

UNA NAZIONE IN MOBILITAZIONE: 

Nippon o Nihon, ovvero in cinese “la terra donde viene il sole”: 4.000 isole, 600 soltanto abitate, dai 35 milioni di giapponesi del 1870 si era passati ai 95 con le 45 nascite al minuto; in 40 anni, da una marina mercantile inesistente, il tonnellaggio era diventato uno dei più imponenti al mondo e poi “L'occupazione della Manciuria, l'organizzazione militare e industriale del Manciukuò, l'occupazione della Mongolia, la guerra contro la Cina e finalmente l'adesione al Patto Tripartito”, insomma il Giappone non rappresentava più quel 'pericolo giallo' degli altri popoli asiatici perché si era allineato con l'Asse Roma – Berlino e dunque contro le plutocrazie democratiche, soprattutto contro gli intrighi e le soperchierie inglesi, sia perché proprio l'alleanza con l'Italia e la Germania  si completava geopoliticamente in questo modo.  

Appelius specificò che il governo “va abituando pian piano l'opinione pubblica all'idea del cozzo inevitabile con l'impero britannico e, se necessario, con gli Stati Uniti” e che proprio l'impero inglese “deve far posto alle altre forze del mondo moderno”, inoltre sempre l'autore aveva notato, carte alla mano, che il Giappone aveva un certo vantaggio strategico militare nei confronti del'URSS e anche su questi dati di fatto si può pensare che lo stesso Hitler, qualche mese dopo, propose ai nipponici un attacco ad est contro i sovietici; la soluzione fu rifiutata anche perché il Giappone era impegnato al massimo sforzo nel sud est asiatico. 

Lo “stato d'animo” del popolo era coeso, invidiabile, la “autorità dello Stato”, divinizzata e con un carattere mistico, era fortemente presente, l'esercito ben equipaggiato e guidato da ufficiali ben preparati. Il popolo in generale aveva tutte quelle qualità che altri non potevano vantare, erano “patriotti anche i comunisti e gli ergastolani”; inesistente era lo scontro di classe perché tutto andava concentrandosi sul “giapponismo”, tutti proprio tutti erano accomunati dall'herai, traducibile come “sogno di grandezza”, una grandezza che aveva dovuto modernizzarsi e rafforzarsi quando le mire espansionistiche di inglesi e americani minacciarono il Paese alla fine del XIX sec. e da quelle scaramucce, da quegli abusi, da quelle appropriazioni che si moltiplicarono, arrivò una reazione definitiva, quanto letale, da parte nipponica il 7 dicembre 1941, a Pearl Harbour, ma questo libro fu dato alle stampe nell'ottobre 1941 poco prima di quell'evento che allargò di molto i campi di battaglia nella Seconda Guerra Mondiale. 

L'IMPERO CELESTE E IL FASCISMO NIPPONICO: 

Intanto negli anni Trenta la crescita industriale, che non aveva avuto sostegni statali, e l'occupazione dei mercati mondiali avevano avuto un espansione di grandissima portata, altro che crisi annunciata dagli osservatori occidentali. 

Il grosso dei capitali era tenuto tra le mani di una ventina di magnati, in particolare in quelle dei Mitsui e dei Mitstubichi che avevano sviluppato industrialmente la maggior parte la Nazione; il debito pubblico in pratica era inesistente; le forze che entravano in attrito quotidianamente erano i potenti del capitale e le  Forze Armate “socialisteggianti”, “filo – fasciste”, con connotati anche fortemente anticapitalisti ma Appelius ci tenne a sottolineare: “Come paese spiritualmente nazional – socialista  il Giappone può essere considerato uno stato fascista e lo è infatti dal punto di vista filosofico” ma “Il trapianto integrale del Fascismo in Asia, in tutta l'Asia, è un fenomeno impossibile. Il Fascismo  come Regime statale e politico, è un prodotto tipicamente occidentale, generatori nella razza bianca in un momento di sua crisi profonda. I principii filosofici e gli elementi poetici del Fascismo sono universali, applicabili a tutti i continenti ed a tutte le razze. Il Giappone è e resterà per lunghissimo tempo un paese spiritualmente fascista, organizzato però materialmente all'asiatica”. 

Tuttavia tutti i contrasti  si risolvevano nella figura dell'Imperatore, “colui che tutto può e tutto deve fare”,  lui era il rappresentate divino della Nazione e quella carica divina, in quegli anni, era ricoperta da Hiroito, 124esimo sovrano “Figlio del Cielo, Imperatore Celeste, Personaggio Augusto, Padrone Supremo, Gradino Eccelso” e ancora “Fiamma declinante; Tetto incompiuto; Colui che onora gli Iddii; L'Altissimo Saggio; il Grande Civilizzatore”. 

Ad ogni era corrispondeva un imperatore, e tutti gli imperatori discendevano dalla stessa famiglia “vissuta un periodo infinito di tempo nello spazio stellare”; “La Dinastia imperiale giapponese è eterna come l'universo” e aveva come capostipite la Dea Solare Amaterasu, la sua genia si era incarnata nel 660 a. C. col primo Re Gimmu Tenno, dopo aver vissuto da sempre nella “Pianura del Cielo alto” la stirpe scese sulla prima terra creata da Izanagi, il dio creatore, e quella terra non poteva che essere il Giappone.          

FAMIGLIA E TRADIZIONI DI UNA SOCIETÀ ANOMALA: 

il matrimonio era un “dovere” e lo era nei confronti della propria gens, del proprio popolo, dello Stato, giorno per giorno tutto girava attorno alla famiglia ed anche la solidarietà familiare era un ammortizzatore sociale indispensabile. 

Esistevano da tempo le cosiddette “botteghe sessuali” ma i giapponesi hanno avuto sempre un rapporto con la sessualità molto libero, senza tabù, molto diverso dal nostro. 

I più importanti capisaldi della civiltà erano il culto degli Antenati e quel il legame speciale ed intimo con la Natura su cui poi si fondava lo Scintoismo. 

Se gli stipendi erano piuttosto bassi, il costo della vita era bassissimo e il ricco teneva un tenore di vita semplice, altrettanto frugale tanto che quasi ovunque era stata abolita la 1ª classe, in effetti le persone  non sostenevano spese superflue e in serie tipiche delle società capitalistiche. 

Sembra incredibile ma il tasso di analfabetismo era quasi del tutto azzerato, un editto imperiale del XIX sec. aveva imposto la soluzione del problema che fu materia esclusiva trattata dallo Stato; nelle scuole si educava alla “superiorità del popolo giapponese”, alla “devozione mistica  alla persona sacra e divina dell'Imperatore” e al “culto della Patria” e proprio il maestro, in questo senso, aveva una funzione pressoché “sacerdotale” e “politica”. 

Si ripeteva nelle scuole:
“Senza limiti come l'immensità del Cielo
È il nostro debito verso l'Imperatore;
Senza fondo come il mare
È il nostro debito verso la Patria”.

Egualmente inesistente era il tasso di disoccupazione, tutti dovevano avere una preparazione scolastica, tutti sin da giovani dovevano lavorare per contribuire al sostentamento della famiglia e di quella che sarebbero andati a comporre nel giro di qualche anno.  

Lo Scintoismo, coi suoi 111.739 templi, e il buddismo convivevano senza difficoltà senza disturbarsi, anzi si completavano, infatti il giapponese passava dal buddismo allo scintoismo con una facilità estrema perché “in fondo sente religiosamente solamente la devozione alla Patria e la devozione ai suoi Antenati”. 

Se il buddismo era una religione d'importazione cinese, che nell'isola penetrò tra il 500 e il 1500 d.C., scalzando le altre confessioni compreso lo “Scintoismo primitivo” che era una “religione «istintiva» che adorava le forze della Natura, la bellezza del Creato ed i morti nella cui moltitudine si sublima l'umanità. 

Tale si mantenne fin verso il 500 dopo Cristo”, lo Scintoismo moderno – anche se i primi tentativi di modernizzazione avvennero già nel 1500 d. C. - e quindi il Buscidò, tutto sommato, erano una parziale e nuova creazione nazionalista, prodotto dell'Ottocento. 

In questa mistica di massa due erano i dogmi: l'essenza divina dell'Imperatore e l'essenza divina del Paese, il “Paese degli Dei”, per il resto la nuova Religione si plasmava perfettamente al Nuovo Giappone, con finalità prettamente economiche, sociali e politiche, alterando pure la fattualità storica ed odierna dell'epoca , poiché “è una religione nebulosa, indeterminata, eterea, che adora nel cielo, nel sole, nell'aria, nei rumori e nei colori dello Spazio, nelle dolcezze e nelle collere della Natura, l'infinito mistero dell'Universo.

Nell'Universo v'è un punto che è materialmente più vicino agli uomini: la terra sulla quale vivono […] adora indeterminatamente nei kami delle cose cioè  nello «spirito delle cose» il principio divino che è contenuto nella materia”.

Questa stessa religione riconosceva in alcuni uomini una loro superiorità dovuta alla loro vita vissuta, fatta di atti e pensieri superiori, uomini “che li trasforma in kami (Grandi Spiriti) e li adora accanto agli Iddii maggiori della leggenda, accanto ai kami delle cose, formando, con questi tre elementi imponderabili che non hanno una precisa demarcazione fra loro, un empireo di energie motrici, di principi vitali, di grandi armonie, di valori morali, di «scintille folgoranti»”. 

Il ruolo della donna era quello che distingueva di gran lunga il Nihon da tutti gli altri Paesi, “come il giapponese pur essendo un popolo rozzo e soldatesco possiede una arte raffinata e quasi molle, egualmente la sua donna è fine, elegante, dolce, soave”, impostata su una rigida educazione impartitale sin da bambina, ma la severità era una delle caratteristiche della formazione per tutti i bambini. 

La sua posizione nella società era chiaramente di “inferiorità”, a 16/17 anni entrava in fabbrica a lavorare, intorno ai 22 arrivava il matrimonio che più spesso che altro era combinato, poi diventava madre prolifica che educava i propri figli “all'amore della Patria e dell'Imperatore” inculcando loro “l'orgoglio della razza”.

La ghescia invece era  una figura “decorativa”, le sue origini storiche non erano e non sono chiare, ed aveva capacità canore e di danza estremamente affinate e perfezionate da anni di rigorose lezioni apprese nelle scuole antiche, soprattutto in quella famosa di Kyoto. Quello della ghescia era un ruolo veramente particolare, prettamente artistico, solo nell'epoca moderna e solo in taluni casi scadette nella prostituzione, certo è però che lo “sfruttamento commerciale” era una delle sfaccettature che caratterizzava il suo lavoro, tant'è che per riscattarsi dal proprio debito le servivano anni e anni di carriera.

Ma quanto avesse un posto rilevante lo si può dedurre pure dal fatto che nei suoi salotti, dove si riunivano i notabili, i politici, i funzionari, gli imprenditori, furono spesso prese decisioni di grande importanza a livello nazionale. 

Altro discorso valeva per le cortigiane vere e proprie, le dgiorò, tuttavia anche il meretricio doveva rispettare rigorosamente una serie di riti e comportamenti predisposti e non aggirabili, regolamentati dallo Stato e dalla morale, anche se questa professione dal 1910 era fortemente in ribasso poiché in quell'anno il governo approvò una legge che vietava l'arresto delle donne per debito, mettendo in pratica quasi fine al mercanteggio dei 'protettori', così come era scomparso del tutto l'”affitto” delle figlie di quei genitori poveri che le concedevano ad un prezzo prestabilito ai “bianchi” di passaggio in Giappone. 

L'Impero del Sol Levante pretendeva una dirittura e un rispetto solenni, era una questione di salute pubblica, di dignità ed onore.        
 
Tra l'altro femminili erano le due massime divinità, la Dea del Sole e quella degli Alimenti.

I LUOGHI DELLA TERRA DEGLI DEI:

dal Mare Interno, che è “il cuore” della nazione e che ispirò così tanti poeti, pittori, i famosi acquerelli e leggende per la sua unicità di colori, alla industriale Osaka, dalla metropoli alla occidentale Tokyo, coi suoi 5 milioni di abitanti, alla antica Kyoto, da Nara, la vecchia capitale e centro religioso, alla straordinarietà dei templi nell'area sacra di Nikko [“Chi non ha visto Nikko non può adoperare la parole kekko (magnifico)!”], dai tre Sankei, ovvero i posti più belli del Giappone che qualunque nipponico dovrebbe vedere nella sua vita, cioè l'isola sacra di Miàyma, Matsúscima e Amanoscidăte, al gigantesco Budda di Kamàkura, solo l'Italia per le sue bellezze naturali era un posto più bello del Giappone secondo Appelius anche perché poteva offrire quelle meraviglie artistiche di gran lunga superiori a quelle giapponesi. 

Dal fastoso Tempio di Ise, dove l'Imperatore si recava per consultare gli Antenati, a Kumamoto fino ai possedimenti giapponesi di Formosa, una volta terra di conquista e sfruttamento di portoghesi e francesi e dove ancora vivevano gli ultimi tagliatori di testa, dall'Hokkaido, dove risiedeva l'ultima e primissima stirpe dei veri nipponici, gli Aynu, che secondo le leggende provenivano dall'antica Babilonia o erano gli ultimi superstiti di una delle tribù di Israele o arrivavano dalle terre finniche,  ecco perché a livello razziale apparivano a metà tra i popoli bianchi e quelli asiatici dell'estremo oriente, ad Okinawa e poi l'arcipelago Riu – Kiu, Osaka, Kyoto ecc. 

Un lungo viaggio straordinario, affascinante, il Giappone rimase nel cuore di Appelius fin quando non smise di battere, ma sopravvive tuttora nei suoi scritti un po' bistrattati fino ad oggi, essendo anche lui uno dei tanti caduti sotto la mannaia politica della damnatio memoriae.

“Prima che il Giappone sorgesse dalle profondità dell'Oceano Pacifico per la bacchetta magica di Izanagi (il Grande Principe creatore) nel tempo in cui gli iddii originarii dello «Impero dei mille autunni» abitavano ancora la «pianura stellata», Amateràsu, dea del Sole e capostipite ufficiale della dinastia imperiale nipponica, gravemente offesa da altre divinità si chiuse in una caverna privando l'universo della luce solare. I tremila iddii e le cinquemila  dee del Creato ripiombato nelle tenebre non riuscivano a placare la divinità incollerita. Ma la dea Ame-no-uzume-no-mikoto, la  fronte coronata di cipresso, in mano un flauto di bambù, improvvisò all'ingresso della caverna una danza così bizzarra, accompagnata da un suono e da un canto così suggestivi che la dea solare incuriosita uscì fuori dalla caverna per vedere di che si trattava. Gli altri iddii sbarrarono allora l'ingresso della caverna in modo tale che la dea non potesse più rinchiudervisi. La dea restò quindi in mezzo all'universo ed il Creato tornò ad avere la luce solare”.