TERZA ED ULTIMA PARTE
All’inizio
del 1944 la 14ª Divisione SS iniziò a partecipare alle azioni di
anti-guerriglia, al contempo i comandi della Wehrmacht inoltrarono a
Berlino richieste per finirla con la repressione anti-UPA (o UPAS).
Il
26 gennaio 1944 si chiudeva un cerchio: i tedeschi fermarono l’altro
capo nazionalista Melnyk, gli altri due, come visto, ovvero Bandera e
Borovets erano stati arrestati nei mesi passati.
I disappunti e i
sabotaggi andarono aumentando, alcuni reggimenti furono sciolti, il
personale fu dislocato altrove, la sorveglianza del Reich andò
stringendosi anche se gli esiti catastrofici del conflitto si facevano
sempre più preoccupanti ed incalzanti.
Al
contrario Stalin sapeva perfettamente che si doveva arrivare a valanga
sull’Ucraina per abbattere la più forte delle resistenze, ecco perché
concentrò il grosso delle forze lanciandole sul quel Paese.
Nel mese di
gennaio terminò anche l’addestramento della 14ª Divisione, mentre si
perse altro tempo su dove e come impiegarla, alcuni non la volevano al
fronte, altri si batterono per mandarcela; qualcosa si smosse in aprile,
quando ci furono i primi contatti per una tregua tra tedeschi e
nazionalisti ucraini e questi ultimi cominciarono a chiedere le armi
all’esercito germanico.
Il 16 maggio Himmler passò in rivista la truppa,
intanto i russi avevano ripreso tutta l’Ucraina di un tempo e si
ritrovavano davanti alla Galizia, tuttavia i tedeschi mantenevano ancora
per buona parte il controllo dei Paesi baltici e della Bielorussia ma
un nuovo cedimento su tutta la linea era alle porte.
A causa
dell’inesperienza si pensò di inviare la 14ª Divisione SS in una zona di
retroguardia, ma la realtà esigeva altro: fu posta d’istanza nel
settore Brody, vicino Leopoli, uno dei punti più esposti al nemico e la
si fece diventare parte del 4º Esercito Panzer, all’interno del XIII
Corpo d’Armata. In sostanza voleva dire che in quel punto in particolare
l’Asse aveva schierato 18 divisioni, l’Armata Rossa ne aveva ben 43,
senza contare che la Luftwaffe era stata praticamente azzerata in quella
zona, per non parlare della sproporzione dei carri armati,
dell’artiglieria, degli equipaggiamenti ecc.
Dopo 2
giorni di intensi bombardamenti, il 14 luglio deflagrò la battaglia e
l’avanzata rossa fu prepotente ed indomabile, il paesaggio diventò in
poco tempo spettrale e apocalittico, i fuochi erano ovunque, come lo
erano i cadaveri di cavalli, di russi civili e soldati; ogni tanto, tra
le polveri e i fumi, si sentivano gli ordini: “Panzerfaust avanti”! Il
15 i collegamenti si interruppero completamente, il contrattacco
germanico fallì subito, il Tenente Herman che era sul campo descrisse
perfettamente la drammatica situazione: i russi “spuntano come mosche.
Le loro linee non finiscono mai, anche se subiscono perdite dieci volte
maggiori rispetto a noi. Non c’è niente da fare”.
Erano stati
circondati, abbandonato tutto il possibile si procedeva solo con armi e
munizioni in pugno. Non si dormiva da giorni, non si riposava da giorni.
Tra il 16 e il 17 si cercò di fissare nuovi contrafforti difensivi, il
18 su Brody l’aggressione si fece devastante, ma intanto era filtrata
tra i combattenti la voce di una vera e propria follia: la “polizia
tedesca sta arrestando molti ucraini, specialmente studenti”.
Il 19 e il
20 il bagno di sangue continuò, il 21 si tentò la rottura
dell’accerchiamento, era un fuggì fuggì generale, piccoli gruppuscoli
organizzati tentavano l’impossibile. Il Quartier Generale di fatto non
esisteva più, il comandante Freitag ebbe un crollo psicologico, gli
ufficiali si unirono ai raggruppamenti raffazzonati, composti anche da
dispersi e disarmati, il disorientamento era totale. Un testimone, il
Tenente Ortynsky, ci ha lasciato una descrizione emblematica in tal
senso: “ci aspetta un giovane tenente tedesco, che dà segni di aver
fretta. Ci indica sulla cartina le postazioni che occupa e se ne va
rapidamente. Il colonnello ed io osserviamo, ma non vediamo quelle
linee.
Non è strano che
sia così: i tedeschi erano stanchi e preferivano dormire che costruire
postazioni”. Si andava avanti, o meglio indietro, direzione Carpazi, ma
mentre i soldati del III Reich anche in questa tragedia sapevano più o
meno districarsi, poiché sapevano come andava trattata una ritirata, per
gli ucraini era tutto nuovo, inspiegabile, si retrocedeva andando a
caso e allo sbando ma si combatteva con tutti mezzi possibili e anche
senza di essi, mentre le bombe cadevano dal cielo, i missili partivano
da tutti i fianchi: “siamo rimasti senza un comando forte e ognuno può
fare ciò che gli detta la sua iniziativa. Si organizzano unità di
assalto, piccole di numero e solo di volontari, formate sia da ucraini
che da tedeschi, comandati da capi che si distinguevano grazie a
decorazioni di grado più alto […] La terra sembra un inferno e nessuno
provvede ai compagni feriti, che, a sinistra e a destra, cadono vicino a
noi […] Ognuno lottava per conto proprio, in modo individuale, cercando
di aprirsi un varco” ma non ci si arrendeva, non si poteva e non lo si
era voluto in precedenza, “Tutti noi eravamo terrorizzati da una cosa:
essere catturati dal nemico. Temevano bestiali interrogatori,
fucilazioni di massa,, come la morte lenta nei campi di concentramento
sovietici […] nessuno si sentiva stanco e tutti avevamo un solo
desiderio: sfondare l’assedio a qualunque costo” diceva il sottotenente
Korduba. Poi poco più di una fessura, in alcuni punti larga giusto
qualche centinaio di metri, sotto una gragnola infiniti di colpi e
tutti coloro che erano rimasti in piedi ci si lanciarono. La libertà,
la vita. Non per tutti, non per molti che in quei giorni erano caduti:
“i suoi occhi sono rivolti verso di me e sembra dirmi ‘Non
dimenticarmi’, Recito alcune preghiere e me ne vado. Ma noi torneremo
Sambir e adorneremo con una Croce di Ferro la tua tomba, là nella valle,
dietro Zahirci, ai limiti dell’orto, vicino alla strada” appuntava sul
momento il Tenente Ortynsky.
Non tornarono, fu una
carneficina: dei 35.000 del XIII Corpo d’Armata in 20.000 morirono.
Degli 11.400 della Divisione ucraina in 3.000 si salvarono. L’ondata
rossa aveva travolto tutto e anche parte della popolazione ucraina si
accodava agli eserciti in ritirata, mentre i giovani venivano reclutati a
forza per le prossime battaglie dai tedeschi. I russi continuarono con
la loro tipica repressione e missione di morte: chi rimase subì nuove
deportazioni e assassini di massa, coloro che scamparono a queste misure
si videro costretti ad imbracciare un fucile, dopo un ridicolo
addestramento di appena una settimana, per puntarlo contro i loro
compaesani che si trovavano ora dall’altra parte del fronte.
In
agosto la 30ª Divisione raccolse quel che rimaneva qua e là dei soldati
ucraini ma pure stavolta non le fu assegnato il termine ‘Ucraina’,
invece a settembre si provò a ridar vita alla 14ª Divisione SS. Davanti
al disastro, con un ritardo estremo e incomprensibile, Borovets fu
liberato ad agosto, il mese dopo toccò a Bandera, in ottobre fu il turno
di Melnyk e tutti e tre, da quel momento in poi, presero parte attiva
alle decisioni dell’intero movimento nazionalista. Sempre in ottobre,
nonostante le estreme difficoltà nel reperire gli equipaggiamenti e in
uno stato piuttosto malconcio, la 14ª Divisione tornò ad essere
operativa, rinvigorita dai resti di altre unità, più che altro da
elementi germanici di altre Nazioni e da connazionali che si trovavano
in altri Corpi, fino ad arrivare ad un totale di 20.000 militi.
A
riprendere il comando, suo malgrado e su ordine categorico di Himmler,
ci fu messo Freitag che nel frattempo era stato decorato con la Croce di
Cavaliere e che aveva stilato una preventiva relazione di parere
negativo sulla ricostituzione della divisione. Nel discorso del suo
reinsediamento affermò, anche per conto del Führer, che si riconosceva
l’eroismo degli ucraini e il loro sentimento nazionale. Era un altro
passo in avanti, non solo formale ma che oramai non aveva neppure molto
più senso visti il susseguirsi incombente degli accadimenti.
In
quell’autunno il grosso dell’UPA si trovava dietro le linee
dell’esercito russo, da qualche mese si era riorganizzato per una
resistenza ai quali i tedeschi non avevano mai creduto molto.
La
14ª fu perciò inviata in Slovacchia, dove viveva una consistente
comunità di rifugiati connazionali, il fine era quello di reprimere una
sollevazione di partigiani comunisti che tentavano di sovvertire il
governo di Monsignor Tiso. Le operazioni si svolsero con una iniziale
grande difficoltà anche perché la gravissima carenza di armamenti fu
colmata solo sul posto; le armi vennero prese direttamente al ben
fornito nemico o sequestrate ai depositi di zona. In una decina di
giorni, mediante una serie di azioni rapide e brillanti, la 14ª
Divisione liberò il territorio, sebbene i comunisti, al loro solito nel
pieno della fuga, fecero il più possibile una pulizia etnica proprio di
quei profughi ucraini che là si erano spostati in precedenza per
sfuggire ai sovietici.
Finalmente, il 12 novembre,
in modo ufficiale la Divisione fu riconosciuta con il nome di
‘Ucraina’, ma non furono aggiornati stemmi e distintivi.
Intanto
a Praga, il 19 novembre, nacque il Comitato di Liberazione dei Popoli
della Russia, diretto da Vlasov. Era un’altra disperata carta da giocare
per il disastroso fronte dell’est ma che fu giocata ancora una volta
male dai tedeschi, oltre che gravemente in ritardo. In ogni caso va
anche detto che in seno al grande e variegato popolo slavo sussistevano
delle fratture incolmabili, tant’è che gli altri separatisti non
volevano trovarsi in una posizione di subalternità a Vlasov e ai russi .
Ci stavano poi degli attriti storici incancellabili che si evincono dal
racconto del nazionalista Shandruk che aveva avuto un incontro con il
Generale Vlasov il 30 gennaio 1945: “Mi chiese perché non volevo entrare
a far parte in quanto Comitato Autonomo (nda ucraino) del suo Comitato
di Liberazione dei Popoli della Russia” e Shandruk gli rispose che “la
nazione ucraina non è un popolo della Russia, ma che la Mosca rossa,
come in passato quella zarista, aveva occupato il suo territorio […] gli
ucraini sono nemici dei russi in generale e che avrebbero combattuto
anche contro di lui. Queste parole hanno fatto andare Vlasov fuori di
sé, per cui ha risposto: allora marcerò io stesso per sconfiggere lei e
la sua nazione”. In pratica non se ne fece più nulla o quasi.
A
fine 1944 ci fu la ritirata delle truppe germaniche dalla Slovacchia e,
a gennaio 1945, la 14ª Divisione fu inviata in Slovenia per stanare gli
agguerriti partigiani di Tito, affiancando i tedeschi nelle complesse
operazioni.
Il 6 marzo 1945 l’UPA portò a segno un
gran colpo. Nella zona di Rovno, l’attacco al Quartier Generale russo
ebbe come conseguenza il ferimento del Generale Nikolai Vatutin, il
quale morì pochi giorni dopo.
Il 15 marzo 1945 fu
fondato il Comitato Nazionale Ucraino e per la prima volta una
organizzazione ucraina veniva riconosciuta ufficialmente dal Terzo Reich
per bocca del Ministro Rosenberg, che stava sempre dalla parte della
causa ucraina e che era contrario ai piani di Vlasov, appoggiato invece
da Himmler.
Il 23 marzo accadde l’impensabile.
Berlino, notte fonda, si era riunito l’Alto Comando presieduto come
sempre da Hitler. Quest’ultimo disse agli astanti che era a conoscenza
della Divisione Galizien ma che stava scoprendo in quel momento
l’esistenza della Divisione Ucraina. Lì per lì non si seppe dare al
Führer notizie sull’unità militare e quelle poche informazioni
fornitegli risultarono del tutto sballate, facendolo andare su tutte le
furie. Ordinò la smilitarizzazione immediata della Divisione Ucraina che
era d’istanza tra la Slovenia e l’Austria e il trasferimento degli
armamenti alla 10ª Paracadutisti, soltanto che questa truppa non aveva
affatto completato il suo addestramento mentre la 14ª aveva davanti a sé
l’imponente Esercito Rosso.
Si
scatenò il panico ma Freitag e Wächter riuscirono ad intervenire e ad
annullare cinque giorni dopo l’ordine di smobilitazione e il 30 marzo la
14ª Divisione fu spedita nel sud dell’Austria per colmare una rovinosa
falla. Gli ucraini furono spostati nei pressi di Graz, i russi stavano
penetrando in quel settore, fu dato l’ordine di contrattaccare e
contrattaccarono parando tutti i colpi russi almeno fino alla metà del
mese. In aprile, grazie ai tanti che lasciavano le loro organizzazioni
clandestine o semi-clandestine e vista la loro avversità ad entrare
nell’Esercito di Liberazione di Vlasov, si formò anche la 2ª
Divisione-Ucraina - più semplicemente chiamata dai tedeschi Panzerjagd
Brigade Freie Ukraine - che per la prima volta poté prestare giuramento
sulla bandiera del proprio Paese, al canto del proprio inno.
Dopodiché
quegli uomini furono inviati nella Boemia del sud. In quei giorni il
comando ucraino decise di uscire dalla capitale tedesca, Berlino era
quasi accerchiata e il generale tedesco Freitag, comandante della 14ª fu
infine sostituito da un altro generale, l’ucraino Krat.
Il
27 aprile 1945 la 14ª Divisione SS andò a comporre l’Esercito Ucraino.
Nonostante ciò, da mesi, benché coscienti che stava per crollare tutto,
gli ucraini e gli altri movimenti rappresentanti dei popoli separatisti
dalla Russia pensavano e speravano che l’Occidente avrebbe rivolto le
proprie armi contro Mosca, per questo motivo si preparano ad un’altra
guerra dopo la guerra.
Ancora pochi giorni e tutto
finì ma non tutti vollero farla finita. L’8 maggio la resa della
Germania, il giorno dopo la 14ª e gli altri reparti si defilarono verso
ovest, l’intento era quello di consegnarsi agli anglo-americani. La
Brigata Anticarro ‘Ucraina Libera’, posizionata a sud di Berlino, per
metà cadde in mano ai sovietici, mentre i reggimenti di istanza nella ex
Cecoslovacchia furono catturati dai russi che da subito iniziarono la
mattanza.
Se fino alla fine del 1945 gli
anglo-americani, pur sapendo quale destino avrebbe colpito i
prigionieri, consegnarono quasi 3 milioni di slavi ai sovietici, al
contrario gli ucraini avevano un vantaggio non da poco, potevano vantare
una nazionalità polacca o di altri Paesi non alleati alla Germania
nazista, il che diede loro la possibilità di prender tempo, un tempo che
si rivelò spesso sufficiente per salvare la pelle. Infatti nel 1946 gli
anglo-americani, con l’irrigidirsi di quella che stava diventando una
vera e propria Guerra Fredda, limitarono la consegna dei prigionieri di
guerra. Nella fattispecie un gran numero di ucraini era stato internato
nei pressi di Rimini e sin dall’estate ‘45 una serie di ufficiali
sovietici giunsero in quel campo di concentramento per verificare il
numero e le condizioni dei detenuti, con l’intento di riportarli in
Russia, facendo opera di convincimento presso i detenuti ma i gli esiti
furono molto scarsi.
Altrettanto infruttuose risultarono le
documentazioni, le affermazioni e le nemmeno tanto velate minacce che i
delegati russi adottarono con i loro ormai ex alleati. Si mosse anche il
Vaticano sollecitando gli anglo-americani a non cedere, gli ucraini
erano per la maggior parte pur sempre cattolici. Tra il 1946 e il 1948
dai vari campi sparsi nel mondo i soldati ucraini furono liberati e
poterono iniziare una nuova vita. Al contrario, tanti altri ebbero la
peggio, si pensi ad esempio ai russi che cercarono di combattere una
guerra anti-bolscevica, in primis Vlasov, i cosacchi ecc., che furono
rilasciati ai sovietici e che furono presto fatto liquidati.
Ecco perché
suona come una beffa quel che non accade a Erich Koch ossia a colui che
lo storico Caballero Jurado definisce come “l’uomo che, forse più di
chiunque altro, aveva contribuito al disastro della Germania”; una volta
catturato fu condannato dai polacchi per maltrattamenti alla
popolazione nel periodo in cui fu Gaulaiter in Prussia Orientale e
null’altro, l’URSS non chiese mai l’estradizione, non gli fu imputato
nessun altro capo d’accusa, anzi, visto il suo stato di salute divenuto
precario negli anni, la sua
prigionia, per quel che risulta, fu piuttosto blanda.
Tuttavia
ben più di qualcosa che non andava ci stava se, ancora per tutto il
1945 e oltre, 200 mila militari russi, sotto la supervisione del
segretario del partito comunista ucraino Nikita Kruscev, furono lasciati
sul suolo ucraino, pronti a sferrare altri attacchi alla resistenza. La
guerra era finita, ma la guerriglia proseguiva per tutta la primavera,
con 94 grandi combattimenti e 440 scontri circa. La ritirata dei
nazionalisti nei Carpazi calmò temporaneamente le acque, almeno fino a
dicembre, quando fu avviata una nuova operazione che durò fino al giugno
1946, con il risultato di perdite ingenti tra i nazionalisti e la loro
ulteriore fuga in Polonia, in Cecoslovacchia e in Romania dove furono
stabilite le nuove basi operative e formati gruppi ribelli sempre più
piccoli nei paesini, nelle campagne o perfino nei boschi, onde evitare
la cattura, e fu avviata una collaborazione con gli attivisti
anti-comunisti locali visto che l’est Europa oramai era caduto sotto il
controllo dell’URSS.
Nel 1947 l’assassinio del Generale Swiersczekski,
viceministro della Difesa polacco, rappresentò un altro gran successo
dell’UPA, quell’anno però fu improntato un grande piano in accordo tra
Cecoslovacchia, Polonia e Unione Sovietica, che prendeva il nome di
operazione ‘Wisla’, tramite il quale, tra il maggio e l’agosto 1947, si
soffocarono gli ultimi focolai di ribellione; quando ancora in
quell’anno, tra la Bucovina, la Bessarabia e la Moldavia, si poteva
registrare uno spostamento di molti chilometri e in gran velocità del
gruppo guidato di Jmara che, come altri, nonostante le tante difficoltà e
i tanti pericoli, si muoveva sulle terre ormai conquistate dal nemico
comunista.
L’ultima fase di vita dell’Esercito
Nazionale Ucraino coincide con gli anni 1948-1956, gli ucraini
continuavano ad illudersi che l’Occidente sarebbe sceso in conflitto con
il blocco del Patto di Varsavia ma intanto il 5 marzo 1949 cadde in uno
scontro a fuoco la guida Shukhevych. Pochi mesi dopo il comando della
resistenza si sciolse e rimasero in piedi una serie di gruppuscoli
sparsi, intenzionati ad andare avanti in un modo o nell’altro. Le
speranze si riaccesero con le proteste scoppiate a Berlino est, gli
scioperi in Cecoslovacchia, la morte di Stalin nel 1953, gli altri
scioperi in Polonia e la rivolta di Budapest nel 1956, che fu repressa
con la forza dai sovietici. Le democrazie non si mossero e il movimento
nazionalista ucraino chiuse i battenti in modo definitivo.