lunedì 12 maggio 2025

Spezzando le catene. La divisione ucraina delle WAFFEN SS - Carlos Caballero Jurado - Terza ed ultima parte

TERZA ED ULTIMA PARTE

All’inizio del 1944 la 14ª Divisione SS iniziò a partecipare alle azioni di anti-guerriglia, al contempo i comandi della Wehrmacht inoltrarono a Berlino richieste per finirla con la repressione anti-UPA (o UPAS). 
 
Il 26 gennaio 1944 si chiudeva un cerchio: i tedeschi fermarono l’altro capo nazionalista Melnyk, gli altri due, come visto, ovvero Bandera e Borovets erano stati arrestati nei mesi passati. 
 
I disappunti e i sabotaggi andarono aumentando, alcuni reggimenti furono sciolti, il personale fu dislocato altrove, la sorveglianza del Reich andò stringendosi anche se gli esiti catastrofici del conflitto si facevano sempre più preoccupanti ed incalzanti. 
 
Al contrario Stalin sapeva perfettamente che si doveva arrivare a valanga sull’Ucraina per abbattere la più forte delle resistenze, ecco perché concentrò il grosso delle forze lanciandole sul quel Paese. 
 
Nel mese di gennaio terminò anche l’addestramento della 14ª Divisione, mentre si perse altro tempo su dove e come impiegarla, alcuni non la volevano al fronte, altri si batterono per mandarcela; qualcosa si smosse in aprile, quando ci furono i primi contatti per una tregua tra tedeschi e nazionalisti ucraini e questi ultimi cominciarono a chiedere le armi all’esercito germanico. 
 
Il 16 maggio Himmler passò in rivista la truppa, intanto i russi avevano ripreso tutta l’Ucraina di un tempo e si ritrovavano davanti alla Galizia, tuttavia i tedeschi mantenevano ancora per buona parte il controllo dei Paesi baltici e della Bielorussia ma un nuovo cedimento su tutta la linea era alle porte. 
 
A causa dell’inesperienza si pensò di inviare la 14ª Divisione SS in una zona di retroguardia, ma la realtà esigeva altro: fu posta d’istanza nel settore Brody, vicino Leopoli, uno dei punti più esposti al nemico e la si fece diventare parte del 4º Esercito Panzer, all’interno del XIII Corpo d’Armata. In sostanza voleva dire che in quel punto in particolare l’Asse aveva schierato 18 divisioni, l’Armata Rossa ne aveva ben 43, senza contare che la Luftwaffe era stata praticamente azzerata in quella zona, per non parlare della sproporzione dei carri armati, dell’artiglieria, degli equipaggiamenti ecc. 
 
Dopo 2 giorni di intensi bombardamenti, il 14 luglio deflagrò la battaglia e l’avanzata rossa fu prepotente ed indomabile, il paesaggio diventò in poco tempo spettrale e apocalittico, i fuochi erano ovunque, come lo erano i cadaveri di cavalli, di russi civili e soldati; ogni tanto, tra le polveri e i fumi, si sentivano gli ordini: “Panzerfaust avanti”! Il 15 i collegamenti si interruppero completamente, il contrattacco germanico fallì subito, il Tenente Herman che era sul campo  descrisse perfettamente la drammatica situazione: i russi “spuntano come mosche. Le loro linee non finiscono mai, anche se subiscono perdite dieci volte maggiori rispetto a noi. Non c’è niente da fare”. 
 
Erano stati circondati, abbandonato tutto il possibile si procedeva solo con armi e munizioni in pugno. Non si dormiva da giorni, non si riposava da giorni. Tra il 16 e il 17 si cercò di fissare nuovi contrafforti difensivi, il 18 su Brody l’aggressione si fece devastante, ma intanto era filtrata tra i combattenti la voce di una vera e propria follia: la “polizia tedesca sta arrestando molti ucraini, specialmente studenti”. 
 
Il 19 e il 20 il bagno di sangue continuò, il 21 si tentò la rottura dell’accerchiamento, era un fuggì fuggì generale, piccoli gruppuscoli organizzati tentavano l’impossibile. Il Quartier Generale di fatto non esisteva più, il comandante Freitag ebbe un crollo psicologico, gli ufficiali si unirono ai raggruppamenti raffazzonati, composti anche da dispersi e disarmati, il disorientamento era totale. Un testimone, il Tenente Ortynsky, ci ha lasciato una descrizione emblematica in tal senso: “ci aspetta un giovane tenente tedesco, che dà segni di aver fretta. Ci indica sulla cartina le postazioni che occupa e se ne va rapidamente. Il colonnello ed io osserviamo, ma non vediamo quelle linee.

Non è strano che sia così: i tedeschi erano stanchi e preferivano dormire che costruire postazioni”. Si andava avanti, o meglio indietro, direzione Carpazi, ma mentre i soldati del III Reich anche in questa tragedia sapevano più o meno districarsi, poiché sapevano come andava trattata una ritirata, per gli ucraini era tutto nuovo, inspiegabile, si retrocedeva andando a caso e allo sbando ma si combatteva con tutti mezzi possibili e anche senza di essi, mentre le bombe cadevano dal cielo, i missili partivano da tutti i fianchi: “siamo rimasti senza un comando forte e ognuno può fare ciò che gli detta la sua iniziativa. Si organizzano unità di assalto, piccole di numero e solo di volontari, formate sia da ucraini che da tedeschi, comandati da capi che si distinguevano grazie a decorazioni di grado più alto […] La terra sembra un inferno e nessuno provvede ai compagni feriti, che, a sinistra e a destra, cadono vicino a noi […] Ognuno lottava per conto proprio, in modo individuale, cercando di aprirsi un varco” ma non ci si arrendeva, non si poteva e non lo si era voluto in precedenza, “Tutti noi eravamo terrorizzati da una cosa: essere catturati dal nemico. Temevano bestiali interrogatori, fucilazioni di massa,, come la morte lenta nei campi di concentramento sovietici […] nessuno si sentiva stanco e tutti avevamo un solo desiderio: sfondare l’assedio a qualunque costo” diceva il sottotenente Korduba. Poi poco più di una fessura, in alcuni punti larga giusto qualche centinaio di metri, sotto una gragnola infiniti di colpi e tutti  coloro che erano rimasti in piedi ci si lanciarono. La libertà, la vita. Non per tutti, non per molti che in quei giorni erano caduti: “i suoi occhi sono rivolti verso di me e sembra dirmi ‘Non dimenticarmi’, Recito alcune preghiere e me ne vado. Ma noi torneremo Sambir e adorneremo con una Croce di Ferro la tua tomba, là nella valle, dietro Zahirci, ai limiti dell’orto, vicino alla strada” appuntava sul momento il Tenente Ortynsky.
 
Non tornarono, fu una carneficina: dei 35.000 del XIII Corpo d’Armata in 20.000 morirono. 

Degli 11.400 della Divisione ucraina in 3.000 si salvarono. L’ondata rossa aveva travolto tutto e anche parte della popolazione ucraina si accodava agli eserciti in ritirata, mentre i giovani venivano reclutati a forza per le prossime battaglie dai tedeschi. I russi continuarono con la loro tipica repressione e missione di morte: chi rimase subì nuove deportazioni e assassini di massa, coloro che scamparono a queste misure si videro costretti ad imbracciare un fucile, dopo un ridicolo addestramento di appena una settimana, per puntarlo contro i loro compaesani che si trovavano ora dall’altra parte del fronte.     
 
In agosto la 30ª Divisione raccolse quel che rimaneva qua e là dei soldati ucraini ma pure stavolta non le fu assegnato il termine ‘Ucraina’, invece a settembre si provò a ridar vita alla 14ª Divisione SS. Davanti al disastro, con un ritardo estremo e incomprensibile, Borovets fu liberato ad agosto, il mese dopo toccò a Bandera, in ottobre fu il turno di Melnyk e tutti e tre, da quel momento in poi, presero parte attiva alle decisioni dell’intero movimento nazionalista. Sempre in ottobre, nonostante le estreme difficoltà nel reperire gli equipaggiamenti e in uno stato piuttosto malconcio, la 14ª Divisione tornò ad essere operativa, rinvigorita dai resti di altre unità, più che altro da elementi germanici di altre Nazioni e da connazionali che si trovavano in altri Corpi, fino ad arrivare ad un totale di 20.000 militi. 
 
A riprendere il comando, suo malgrado e su ordine categorico di Himmler, ci fu messo Freitag che nel frattempo era stato decorato con la Croce di Cavaliere e che aveva stilato una preventiva relazione di parere negativo sulla ricostituzione della divisione. Nel discorso del suo reinsediamento affermò, anche per conto del Führer, che si riconosceva l’eroismo degli ucraini e il loro sentimento nazionale. Era un altro passo in avanti, non solo formale ma che oramai non aveva neppure molto più senso visti il susseguirsi incombente degli accadimenti.

In quell’autunno il grosso dell’UPA si trovava dietro le linee dell’esercito russo, da qualche mese si era riorganizzato per una resistenza ai quali i tedeschi non avevano mai creduto molto.
 
La 14ª fu perciò inviata in Slovacchia, dove viveva una consistente comunità di rifugiati connazionali, il fine era quello di reprimere una sollevazione di partigiani comunisti che tentavano di sovvertire il governo di Monsignor Tiso. Le operazioni si svolsero con una iniziale grande difficoltà anche perché la gravissima carenza di armamenti fu colmata solo sul posto; le armi vennero prese direttamente al ben fornito nemico o sequestrate ai depositi di zona. In una decina di giorni, mediante una serie di azioni rapide e brillanti, la 14ª Divisione liberò il territorio, sebbene i comunisti, al loro solito nel pieno della fuga, fecero il più possibile una pulizia etnica proprio di quei profughi ucraini che là si erano spostati in precedenza per sfuggire ai sovietici. 
 
Finalmente, il 12 novembre, in modo ufficiale la Divisione fu riconosciuta con il nome di ‘Ucraina’, ma non furono aggiornati stemmi e distintivi. 
 
Intanto a Praga, il 19 novembre, nacque il Comitato di Liberazione dei Popoli della Russia, diretto da Vlasov. Era un’altra disperata carta da giocare per il disastroso fronte dell’est ma che fu giocata ancora una volta male dai tedeschi, oltre che gravemente in ritardo. In ogni caso va anche detto che in seno al grande e variegato popolo slavo sussistevano delle fratture incolmabili, tant’è che gli altri separatisti non volevano trovarsi in una posizione di subalternità a Vlasov e ai russi . 
 
Ci stavano poi degli attriti storici incancellabili che si evincono dal racconto del nazionalista Shandruk che aveva avuto un incontro con il Generale Vlasov il 30 gennaio 1945: “Mi chiese perché non volevo entrare a far parte in quanto Comitato Autonomo (nda ucraino) del suo Comitato di Liberazione dei Popoli della Russia” e Shandruk gli rispose che “la nazione ucraina non è un popolo della Russia, ma che la Mosca rossa, come in passato quella zarista, aveva occupato il suo territorio […] gli ucraini sono nemici dei russi in generale e che avrebbero combattuto anche contro di lui. Queste parole hanno fatto andare Vlasov fuori di sé, per cui ha risposto: allora marcerò io stesso per sconfiggere lei e la sua nazione”. In pratica non se ne fece più nulla o quasi. 
 
A fine 1944 ci fu la ritirata delle truppe germaniche dalla Slovacchia e, a gennaio 1945, la 14ª Divisione fu inviata in Slovenia per stanare gli agguerriti partigiani di Tito, affiancando i tedeschi nelle complesse operazioni.
 
Il 6 marzo 1945 l’UPA portò a segno un gran colpo. Nella zona di Rovno, l’attacco al Quartier Generale russo ebbe come conseguenza il ferimento del Generale Nikolai Vatutin, il quale morì pochi giorni dopo. 
 
Il 15 marzo 1945 fu fondato il Comitato Nazionale Ucraino e per la prima volta una organizzazione ucraina veniva riconosciuta ufficialmente dal Terzo Reich per bocca del Ministro Rosenberg, che stava sempre dalla parte della causa ucraina e che era contrario ai piani di Vlasov, appoggiato invece da Himmler.
 
Il 23 marzo accadde l’impensabile. Berlino, notte fonda, si era riunito l’Alto Comando presieduto come sempre da Hitler. Quest’ultimo disse agli astanti che era a conoscenza della Divisione Galizien ma che stava scoprendo in quel momento l’esistenza della Divisione Ucraina. Lì per lì non si seppe dare al Führer notizie sull’unità militare e quelle poche informazioni fornitegli risultarono del tutto sballate, facendolo andare su tutte le furie. Ordinò la smilitarizzazione immediata della Divisione Ucraina che era d’istanza tra la Slovenia e l’Austria e il trasferimento degli armamenti alla 10ª Paracadutisti, soltanto che questa truppa non aveva affatto completato il suo addestramento mentre la 14ª aveva davanti a sé l’imponente Esercito Rosso.

Si scatenò il panico ma Freitag e Wächter riuscirono ad intervenire e ad annullare cinque giorni dopo l’ordine di smobilitazione e il 30 marzo la 14ª Divisione fu spedita nel sud dell’Austria per colmare una rovinosa falla. Gli ucraini furono spostati nei pressi di Graz, i russi stavano penetrando in quel settore, fu dato l’ordine di contrattaccare e contrattaccarono parando tutti i colpi russi almeno fino alla metà del mese. In aprile, grazie ai tanti che lasciavano le loro organizzazioni clandestine o semi-clandestine e vista la loro avversità ad entrare nell’Esercito di Liberazione di Vlasov, si formò anche la 2ª Divisione-Ucraina - più semplicemente chiamata dai tedeschi Panzerjagd Brigade Freie Ukraine - che per la prima volta poté prestare giuramento sulla bandiera del proprio Paese, al canto del proprio inno. 
 
Dopodiché quegli uomini furono inviati nella Boemia del sud. In quei giorni il comando ucraino decise di uscire dalla capitale tedesca, Berlino era quasi accerchiata e il generale tedesco Freitag, comandante della 14ª fu infine sostituito da un altro generale, l’ucraino Krat.    
Il 27 aprile 1945 la 14ª Divisione SS andò a comporre l’Esercito Ucraino. Nonostante ciò, da mesi, benché coscienti che stava per crollare tutto, gli ucraini e gli altri movimenti rappresentanti dei popoli separatisti dalla Russia pensavano e speravano che l’Occidente avrebbe rivolto le proprie armi contro Mosca, per questo motivo si preparano ad un’altra guerra dopo la guerra.
 
Ancora pochi giorni e tutto finì ma non tutti vollero farla finita. L’8 maggio la resa della Germania, il giorno dopo la 14ª e gli altri reparti si defilarono verso ovest, l’intento era quello di consegnarsi agli anglo-americani. La Brigata Anticarro ‘Ucraina Libera’, posizionata a sud di Berlino, per metà cadde in mano ai sovietici, mentre i reggimenti di istanza nella ex Cecoslovacchia furono catturati dai russi che da subito iniziarono la mattanza. 
 
Se fino alla fine del 1945 gli anglo-americani, pur sapendo quale destino avrebbe colpito i prigionieri, consegnarono quasi 3 milioni di slavi ai sovietici, al contrario gli ucraini avevano un vantaggio non da poco, potevano vantare una nazionalità polacca o di altri Paesi non alleati alla Germania nazista, il che diede loro la possibilità di prender tempo, un tempo che si rivelò spesso sufficiente per salvare la pelle. Infatti nel 1946 gli anglo-americani, con l’irrigidirsi di quella che stava diventando una vera e propria Guerra Fredda, limitarono la consegna dei prigionieri di guerra. Nella fattispecie un gran numero di ucraini era stato internato nei pressi di Rimini e sin dall’estate ‘45 una serie di ufficiali sovietici giunsero in quel campo di concentramento per verificare il numero e le condizioni dei detenuti, con l’intento di riportarli in Russia, facendo opera di convincimento presso i detenuti ma i gli esiti furono molto scarsi. 
 
Altrettanto infruttuose risultarono le documentazioni, le affermazioni e le nemmeno tanto velate minacce che i delegati russi adottarono con i loro ormai ex alleati. Si mosse anche il Vaticano sollecitando gli anglo-americani a non cedere, gli ucraini erano per la maggior parte pur sempre cattolici. Tra il 1946 e il 1948 dai vari campi sparsi nel mondo i soldati ucraini furono liberati e poterono iniziare una nuova vita. Al contrario, tanti altri ebbero la peggio, si pensi ad esempio ai russi che cercarono di combattere una guerra anti-bolscevica, in primis Vlasov, i cosacchi ecc., che furono rilasciati ai sovietici e che furono presto fatto liquidati. 
 
Ecco perché suona come una beffa quel che non accade a Erich Koch ossia a colui che lo storico Caballero Jurado definisce come “l’uomo che, forse più di chiunque altro, aveva contribuito al disastro della Germania”; una volta catturato fu condannato dai polacchi per maltrattamenti alla popolazione nel periodo in cui fu Gaulaiter in Prussia Orientale e null’altro, l’URSS non chiese mai l’estradizione, non gli fu imputato nessun altro capo d’accusa, anzi, visto il suo stato di salute divenuto precario negli anni, la sua

prigionia, per quel che risulta, fu piuttosto blanda.         
Tuttavia ben più di qualcosa che non andava ci stava se, ancora per tutto il 1945 e oltre, 200 mila militari russi, sotto la supervisione del segretario del partito comunista ucraino Nikita Kruscev, furono lasciati sul suolo ucraino, pronti a sferrare altri attacchi alla resistenza. La guerra era finita, ma la guerriglia proseguiva per tutta la primavera, con 94 grandi combattimenti e 440 scontri circa. La ritirata dei nazionalisti nei Carpazi calmò temporaneamente le acque, almeno fino a dicembre, quando fu avviata una nuova operazione che durò fino al giugno 1946, con il risultato di perdite ingenti tra i nazionalisti e la loro ulteriore fuga in Polonia, in Cecoslovacchia e in Romania dove furono stabilite le nuove basi operative e formati gruppi ribelli sempre più piccoli nei paesini, nelle campagne o perfino nei boschi, onde evitare la cattura, e fu avviata una collaborazione con gli attivisti anti-comunisti locali visto che l’est Europa oramai era caduto sotto il controllo dell’URSS. 
 
Nel 1947 l’assassinio del Generale Swiersczekski, viceministro della Difesa polacco, rappresentò un altro gran successo dell’UPA, quell’anno però fu improntato un grande piano in accordo tra Cecoslovacchia, Polonia e Unione Sovietica, che prendeva il nome di operazione ‘Wisla’, tramite il quale, tra il maggio e l’agosto 1947, si soffocarono gli ultimi focolai di ribellione; quando ancora in quell’anno, tra la Bucovina, la Bessarabia e la Moldavia, si poteva registrare uno spostamento di molti chilometri e in gran velocità del gruppo guidato di Jmara che, come altri, nonostante le tante difficoltà e i tanti pericoli, si muoveva sulle terre ormai conquistate dal nemico comunista. 
 
L’ultima fase di vita dell’Esercito Nazionale Ucraino coincide con gli anni 1948-1956, gli ucraini continuavano ad illudersi che l’Occidente sarebbe sceso in conflitto con il blocco del Patto di Varsavia ma intanto il 5 marzo 1949 cadde in uno scontro a fuoco la guida Shukhevych. Pochi mesi dopo il comando della resistenza si sciolse e rimasero in piedi una serie di gruppuscoli sparsi, intenzionati ad andare avanti in un modo o nell’altro. Le speranze si riaccesero con le proteste scoppiate a Berlino est, gli scioperi in Cecoslovacchia, la morte di Stalin nel 1953, gli altri scioperi in Polonia e la rivolta di Budapest nel 1956, che fu repressa con la forza dai sovietici. Le democrazie non si mossero e il movimento nazionalista ucraino chiuse i battenti in modo definitivo.