sabato 31 maggio 2025

A PIEDE LIBRO n. 26 - Conducator. L'edificazione del socialismo romeno - Marco Costa

A PIEDE LIBRO n. 26
(Intima ed irregolare rubrica Libraria) - Anno II

CONDUCATOR. L'EDIFICAZIONE DEL SOCIALISMO ROMENO

Se ne era già un po' parlato a proposito del testo “Colpo di Stato a Bucarest” di C. Mutti (n. 17 del 27 settembre di questa rubrica): quello di Ceauşescu fu l'esperimento probabilmente più interessante per quel che attiene la via nazionale al socialismo prima e al nazional-comunismo poi. 

Una sperimentazione che i Sinistri di oggi etichetterebbero presto fatto come neo – fascista ma la realtà è sempre poliedrica, elementare lo è solo per coloro, non pochi, che di discernimento non riescono ad abusarne mai. 

La cosa che ha del divertente è che i presunti 'comunisti' di oggi (a chiacchiere non pochi) o quelli veri tra i più ortodossi (che si contano sul palmo di mezza mano) nei Regimi del socialismo reale, nella migliore delle ipotesi, li avrebbero mandati a lavorare coattivamente sopra la terra, nella peggiore li avrebbero ficcati sotto terra.

Ceauşescu fu un ragazzo coraggioso, intraprendente, di umili origini, riscattò la sua condizione e pagò con anni e anni di carcere la sua testarda militanza politica. Non meno sfrontatezza e caparbietà ebbe una volta diventato il Conducător, quando approntò politiche tutte protese verso l'indipendenza del Paese, che gli riuscì in parte e con risvolti sia positivi che molto negativi.

L'industrializzazione forzata della sua rurale Romania rappresenta alla perfezione questa duplicità di esiti. L'equidistanza dai blocchi NATO e del Patto di Varsavia lo fecero cadere in mano alle organizzazioni mondiali finanziarie che, come si sa, con una mano ti danno e con l'altra ti strozzano. 

Ceauşescu in questo fu molto ingenuo, lo sganciamento comprensibile dai soffocanti diktat sovietici lo fecero avvicinare pericolosamente a quelle stesse organizzazioni mondiali che oggi il globo lo comandano, lo ricattano, lo piegano; il discorso sarebbe molto lungo di sicuro ed è sempre piuttosto attuale, pericolosamente attuale. 

Il pagamento dell'intero debito nazionale ufficializzato nel marzo 1989, assieme alle prese di distanza dall'Unione Sovietica iniziate alla fine degli anni Sessanta, i contatti prima e dopo l'allontanamento dagli Stati Uniti e l'avvicinamento ad alcuni Paesi del mondo mussulmano, generarono la combinata azione tra USA ed URSS che ebbe la finalità di farlo fuori.

Spirava ormai il vento generato dalla caduta del Muro di Berlino.

Tutto non sarebbe stato più come prima.

I rapporti tra PCI e PCR furono controversi, i due partiti similari per certi versi nei loro obiettivi di alternanza all'URSS avevano metodi completamente diversi e molto differenti se non opposti erano anche i loro fini, tant'è che tra i dirigenti comunisti italiani, in buona parte, si tendeva a negare che il Regime romeno avesse una base comunista se non nelle sue formule generiche. 

Poi bisognerebbe capire quanto fu per davvero comunista il PCI di Berlinguer ma qua la discussione ci porterebbe oltremodo fuori strada.

A parte tutto ciò, l'aspetto più straordinario del socialismo romeno, giustamente, lo fa emergere l'autore Marco Costa con una puntualizzazione: “i partiti comunisti, così come sono caratterizzati nel corso del Novecento, non sono affatto estranei all'idea di nazione. Lo stesso concetto di internazionalismo non significa affatto negazione delle realtà nazionali, ma fratellanza tra le nazioni”.

Allora potrebbe lasciar esterrefatti l'affermazione la “Romania ai romeni”, motto adottato da Gheorghiu – Dej prima ancora della dittatura di Ceauşescu, ma quest'ultimo in quanto ad esternazioni di questo tipo non fu affatto da meno. 

Il contrasto con L'URSS si acuì negli anni, la Romania rischiò per davvero di vedersi invasa dai carri armati sovietici, come era già avvenuto per Budapest e Praga, ma alcune coincidenze internazionali ed alcune scelte la salvarono; rimaneva egualmente l'importanza addirittura primaria della “sovranità” e della “indipendenza nazionale”, concetti ribaditi da Gheorghiu – Dej, lo stesso discorso e ancor di più valeva per Ceauşescu che diceva pubblicamente senza remore: “il socialismo, realizzando gli ideali di giustizia sociale, ha in pari tempo la missione di assicurare il consolidamento e lo sviluppo della nazione, che vivrà per molto tempo ancora”; “la nazione è lungi dall'aver esaurito le sue possibilità di sviluppo, che essa continuerà ad avere, in tutta l'epoca dell'edificazione del socialismo e del comunismo”.

Non solo, alle parole seguirono molti fatti, la geopolitica, materia non proprio amata a 'sinistra', benché non menzionata, acquisì di nuovo una certa centralità, le origini etniche romene furono esaltate e considerate fondamentali in connessione con l'origine latina e la latinità, divenute nuove fonti d'orgoglio nazionale e motivo aggiunto di distaccamento dagli altri popoli slavi appunto socialistizzati. 

La Romania diventava perciò, nella sua storicizzazione e nella sua attualità lanciata nel futuro, una avanguardia d'Europa o almeno provava ad esserlo con tutti i suoi sforzi e le sue forze.

Nel 1980 in grande stile ci furono i festeggiamenti per i 2050 anni dalla prima formazione dello stato dacico, nel 1988 seguì la grande celebrazione del 70esimo della nascita della nazione di di Romania.

Insomma tutta roba da far traballare tutti gli ex sessantottini e quelli improvvisati di oggi, i bolscevichi e i partigiani, gli uni in ritardo di 100 e passa anni, gli altri di soli 80!
“il nostro partito parte dalle particolarità specifiche del nostro paese. L'esperienza dimostra che trascurare questa necessità comporta conseguenze negative sullo sviluppo della vita spirituale della società. Così è accaduto da noi in alcuni periodi del passato, quando si sono manifestati fenomeni di trascuranza delle tradizioni e delle particolarità storiche e nazionali della cultura romena” (Ceauşescu - maggio 1967).

“lo svolgimento di un'intensa vita interna al partito non ha nulla in comune con le concezioni anaracoidi” (Ceauşescu - maggio 1967).

N.B. Non sconsiglio quasi mai di fare una lettura e non lo faccio tanto meno in questo caso. Però va detto che in questo saggio manca una certa organicità; sono quasi del tutto assenti le note a piè di pagina quando invece sappiamo che sono indispensabili per la riconducibilità ai documenti citati, vi sono talvolta delle ripetizioni oltremodo ripetute, certo è che l'autore filo – marxista incappa in nostalgie e auto censure che non si possono non segnalare. Ciò detto il testo offre diversi spunti riflessivi, talune novità che però vanno integrate con altri studi. Quel che manca del tutto è una accurata descrizione della difficile vita reale dei romeni in specie negli anni Ottanta, fatta di privazioni, infinite file per accaparrarsi l'indispensabile per mangiare, di freddo patito per il riscaldamento razionato, di luce elettrica limitata, di paura di ritrovarsi dentro casa la polizia per un qualsiasi controllo anche il più banale; nessuna parola poi è stata spesa sul sistema rieducativo e dunque sul sistema carcerario, non ci sta nulla riguardo quello che fu il più grande mercimonio di essere umani forse di tutti i tempi, la vendita di tedeschi ed ebrei che vennero spediti all'estero previo compenso concesso dalle Nazioni acquirenti... altro che “favorire l'emigrazione”, nessuno la favorì se non previo prezzo e pagamento prestabilito. Su quest'ultimo aspetto si potrà riceve informazioni quando uscirà il mio vol. 2 di “Razzismo e Fascismo” mentre per maggiori approfondimenti ci sono sempre i puntuali studi di Stefano Bottoni.

Infine mancano anche le costanti quanto dovute denunce di quello che fu il modello sovietico, fondato spesso sulle menzogne architettate ad arte dall'AgitProp e in generale da tutti i capi di partito, ne rimane un esempio lampante proprio l'uso smodato e inappropriato che si fece nell'epoca sovietica dei termini di “democrazia superiore” e “libertà”. Esemplare per molti ma non per tutti.