(seconda ed ultima parte)
Quello cinese era un popolo composito, gigantesco, di 450 milioni di anime, con una crescita di 50 milioni ogni 50 anni, formato al 90% da contadini e proprio la antichissima agricoltura rendeva “questo popolo indistruttibile”; come pregi aveva la “laboriosità, la perseveranza, la pazienza, la sobrietà, lo spirito di famiglia”, benché non avesse una intelligenza “fosforica” e fosse “vanesio, pauroso, vendicativo, giuocatore, spendaccione, sporco, refrattario all'esattezza ed alla puntualità, imprevidente, incline alle depravazioni sessuali, disonesto come funzionario, crudele come capo, egoista come individuo” era lo stesso “gentile. Aggraziato. Dolce. Elegante”, mai “volgare” nella sua grettezza o bruttezza. Famigerato era poi il “sudiciume millenario”, “L'untume è […] un elemento cosmico”, la sporcizia e i fetori così incalliti da secoli si trovavano dappertutto ed erano insiti nella “razza”, tuttavia il cinese viveva con la massima serenità in ambienti dove il bianco sarebbe deceduto in men che non si dica.
Per non parlare poi degli “orrori della millenaria cucina cinese che è la più ricca, la più varia, la più fantastica, la più complicata, la più raffinata e la più sconcertante delle cucine del globo”.
Erano soprattutto le strade delle città a riflettere la loro società: vie caotiche, fangose, sporche, maleodoranti, affollate, tumultuanti, marce, intrise di sterco e urine con l'immancabile ebreo cambiavalute.
Non si metteva del tutto bene neppure per i bambini o per le donne.
Una figlia era per certi versi considerata una “disgrazia”, in quanto meno adatta ai lavori nei campi però la donna lo stesso era il fulcro di quella “saggezza millenaria della stirpe” che si perpetuava.
La condizione femminile non era dunque delle migliori ma per tutti in generale non lo era: già all'età dei 5/6 anni le bambine iniziavano a lavorare mentre i bambini più o meno dai 7/8 in su. L'educazione scolastica era naturalmente un lusso che si potevano godere giusto le famiglie più ricche; la vera e propria educazione che si impartiva era relativa alle faccende domestiche e manifatturiere per le bimbe, quella dei lavori pesanti per i maschietti mentre i benestanti potevano permettersi di mandare i figli a scuola e le ragazze potevano ricevere lezioni di ricamo, di musica, di arte ecc.
Le donne avevano delle rigide regole estetiche da rispettare, come quella di indossare delle strettissime scarpe per limitare la crescita del piede (usanza più tardi vietata), si sposavano grazie ad un matrimonio combinato dai genitori ma questo valeva anche per i figli maschi, solo che la donna di per sé appariva come una specie di inserviente per il marito nell'arco della sua vita familiare.
Dal 1912 la figura femminile e i suoi diritti cambiarono, almeno in parte, perché nelle città si poteva vedere le signore fumare, andare vestite non in modo tradizionale; era ammesso per loro il voto, il divorzio, l'andare a scuola, bere, una certa libertà di costumi e perfino la possibilità di imbracciare le armi e combattere, come stava avvenendo in quella immensa e sconclusionata guerra civile che imperversava in tutto il Paese.
Nelle zone rurali, e quindi nella stragrande maggioranza dei casi, non era cambiato poi molto, nonostante la Cina non fosse più un Impero e fosse diventata una Repubblica a due, se non più teste.
“Né è detto che in ultima analisi la donna cinese fosse più infelice o meno felice della donna occidentale”, sia perché la donna occidentale era diventata protagonista come oggetto di una arida società consumistica, sia perché la donna cinese sembrava esser perfetta per quello di stile di vita che aveva accettato senza indugio.
Malgrado tutto non voleva dire che il Paese era da considerarsi “barbarico”, tutt'altro, poiché quella dei cinesi era una “Civiltà non guerriera. Non fanatica.
Non prepotente” che sembrava non proiettarsi verso il futuro ma solo verso l'antichissimo suo passato, in possesso di alcune abitudini dettate dal confucianesimo, che nel tempo avevano smussato tante spigolature; un addolcimento che si rifletteva nella letteratura, nella elegante arte e nella minuziosa cerimoniosità che era una caratteristica del loro vivere quotidiano, anche se l'indigenza rimaneva a tutti gli effetti “uno stato sociale”.
Era invece lampante l'odio per i bianchi ridotti in decadenza da quelle parti e che, con pochi successi e al contrario di altre parti nel mondo, avevano tentato maldestramente nel tempo l'occupazione del Paese con una penetrazione eseguita con “brutalità” materialistica e capitalistica, messa in atto da popoli occidentali, quali l'inglese e l'americano, che non si erano fatti molti scrupoli nel non rispettare quella civiltà antica e filosofica.
Un “errore storico” era stato quel comportamento.
Un altro errore era quello che stava avvenendo, ossia la perdita del controllo di aree e commerci a favore di altri e specialmente dei nipponici e uno sbaglio poteva essere pure quel che “Stiamo insegnando” in quanto a Tecnica e tecnologia e che poteva ritorcersi contro, viste le enorme potenzialità dei cinesi.
In effetti l'Europa aveva perso autorità con il collasso della Prima Guerra Mondiale, con il bolscevismo, con il mercantilismo inglese, con la crisi economica dopo il crollo di Wall Street, con la partecipazione giapponese al conflitto, con il fallimento di attecchimento ad Est del cristianesimo, con gli sgambetti tra i politicanti occidentali, con la retorica e le inattività democratiche, con l'inutilità della società delle Nazioni, con l'insegnamento delle tecniche e il passaggio delle tecnologie ai gialli, perfino a causa del Cinema con le sue pellicole autolesioniste.
Tutto ciò aveva indebolito la figura, l'autorità, il potere, l'immagine del bianco. Questo declino non aveva ancora generato una specie di pan – asiatismo ma non c'era niente di buono da aspettarsi nel futuro.
A quel punto non ci stavano che due soluzioni: “fare marcia indietro” (e “forse era già impossibile”) e quindi tornare a comandare e ristabilire una “situazione di forza” oppure, meglio, cooperare con i gialli pur cercando di mantenere il “primato”.
700 milioni di bianchi si trovavano di fronte ad un miliardo e 300 milioni di uomini di colore e “Che cosa succederà il giorno in cui anche l'India e la Cina, popolate da un materiale umano intrinsecamente non inferiore e forse superiore al giapponese, avranno compiuto la medesima evoluzione che il Giappone ha fatto in sessanta anni?”.
Quindi aveva fatto bene Mussolini a prospettare nei consessi internazionali una larga collaborazione con gli asiatici ma lo stesso non si poteva e non si doveva sfuggire ad una esigenza ormai divenuta vitale: “È necessario che la razza bianca si ponga il problema come problema di esistenza. Essere o non essere”, “Rinnovarsi bisogna. In questi ultimi tempi due forze energetiche sono sgorgate nel sottosuolo dell'Occidente: il Comunismo ed il Fascismo”, ma naturalmente il Comunismo aveva il difetto di riproporre un materialismo storico che per certi versi era assimilabile al Capitalismo, quel capitalismo che di danni ne aveva fatti già a sufficienza.
L'oppio fino ad allora era stata un'arma mediante la quale i colonizzatori occidentali avevano sfiancato i cinesi e lo smercio era passato dunque dalle vie antiche del Tibet a quelle della britannica Hong Kong, anche grazie alla East India Company. Della droga però i cinesi ne avevano fatto un commercio e una ricchezza, dal XVIII sec. in poi intere province erano state dedicate alla coltivazione della “terribile droga”, così la si chiamava; dopo aver realizzato le gravi conseguenze sulla salute del popolo, l'Impero blandamente limitò l'uso dello stupefacente alle classi agiate, a quelle nobili e a quella intellettuale, che inoltre per l'alterazione dello stato psico – fisico potevano permettersi di bere pure il laudano, tuttavia una buona parte dell'economia girava su questa coltura di morte, arricchendo funzionari di Stato, coltivatori, speculatori e producendo ogni anno un numero indecifrabile di morti visto che le fumerie erano dappertutto.
Eppure dal 1912, una volta caduto il sistema imperiale, la semina e tanto più la vendita di questa merce era stata messa al bando anche nei consessi internazionali da parte delle autorità cinesi e delle altre, ma tutti avevano da guadagnarci e le leggi rimasero lettere morta per molto tempo ancora, al massimo si faceva ogni tanto qualche multa qua e là e poi si ricominciava come se nulla fosse stato.
“È l'opòn od opiòn degli antichi Greci! La testa di Morfeo dio dei sogni, era cinta di papaveri d'oppio. E papaveri d'oppio si vedono nelle braccia di molte statue della Cerere romana. D'oppio era il beveraggio che le mani bianche di Elena versarono a Telemaco ed al figlio di Nestore. Plinio ha una eccellente descrizione della pianta e dei suoi usi. Mitridate attingeva all'oppio l'energia con cui combatteva i romani. La formula dell'oppio fu portata a Roma da Pompeo. L'adoperava il cretese Andromaco per calmare i furori poetici di Nerone. Nell'antichità l'Italia meridionale (le Puglie e la Calabria) e la Grecia erano le grandi produttrici di questo nettare divino al quale Alessandro Magno deve gran parte della sua fantasia di capitano e della sua gloria di condottiero. L'ufiúm degli arabi, l'afiúm dei turchi, l'affiòn dei persiani, l'opiúm dei giavanesi, l'ya-pién dei cinesi non è altro che l'opiòn della Magna Grecia di cui secondo Diodoro di Sicilia si servivano le donne di Tebe e di Siracusa per dimenticare le loro pene d'amore...”
Ma a distruggere quella ultra secolare civiltà ci stava pensando anche il terribile mercato delle armi, un affare che conveniva lo stesso a tutti, agli occidentali e ai tanti orientali che ci lucravano sopra.
La Cina si stava trasformando ugualmente in una grandissima potenza economica, benché non avesse un unico Stato alle spalle ma una diversità di repubblichette che nascevano a morivano a volte nell'arco di poco tempo.
L'imitazione dei prodotti occidentali e la vendita fuori dai confini stavano diventando sempre più la normalità e la cosa avrebbe dovuto preoccupare gli occidentali come evidenziava giustamente Appelius.
In tanti affari stavano subentrando i giapponesi che avevano preso di mira una buona parte dell'Asia orientale, scegliendo la via della politica estera non solo oceanica ma pure continentale, terreno sul quale gli inglesi stavano gradualmente perdendo spazi dopo che li avevano favoriti nei contrasti con la Russia e altrove; ora i britannici si ritrovavano con le spalle al muro e reagirono installando una fornitissima piazzaforte in uno dei maggiori accessi all'Asia: a Singapore.
Come faceva notare il giornalista italiano, una conquista nipponica della Cina era impossibile, i numeri parlavano chiaro, 65 milioni di giapponesi si trovavano di fronte a 450 milioni cinesi, contando anche che le offerte di collaborazione provenienti dal Giappone incontravano spesso una forte resistenza in Cina benché lo stesso Generale Chang Kai Shek era, altrettanto chiaro, che non aveva questo gran potere di contrattazione perché era molto meno forte di quel che poteva apparire.
In agguato vi erano poi gli americani che proprio coi figli del Sol Levante stavano entrando in conflitto in varie zone, cercando di occupare maggiori aree di mercato e speculando economicamente dove potevano, pronti a conquistare spazi per i loro grandi commercianti e i loro banchieri, cosa che stavano facendo sin dalla fine della primo conflitto mondiale, quando si trovarono in una inattaccabile posizione di forza a livello creditizio e mercantilistico, ma i tempi stavano cambiando anche per loro a seguito di quella crisi economica seguita al 1929.
Appelius scriveva che in un “conflitto a due” gli USA avrebbero avuto la peggio vuoi per la grande distanza per approntare le operazioni militari, vuoi per la mistica forza che i nipponici potevano mettere in campo, ma aggiungeva anche che un gran pericolo ci stava nel caso di una “intesa anglo-russo-americana”, vista anche la vulnerabilità dei centri industriali del Giappone alle incursioni aeree.
Invece la Germania, dopo la Grande Guerra e quindi dopo la perdita delle proprie colonie, con il Terzo Reich stava provando a riaffacciarsi grazie ai primi trattati economici; la Francia teneva duro con la sua Indocina e gli altri possedimenti; l'Italia, dal canto suo, tentava nel suo piccolo di tenere vivi gli accordi col governo di Nankino e altre attività diplomatiche e commerciali che però subivano la stretta di una concorrenza spietata, Appelius constatava che il fascismo poteva avere un ascendente in alcuni settori e per alcuni politici, delle strade da battere ci stavano ed erano diverse, ma non era stato fatto poi molto fino ad allora; la sua fu una vera e propria strigliata al Regime, da lui da sempre sostenuto, che non fu affatto censurata.
A suo avviso erano necessari una banca italo – cinese dinamica, un Ente di Stato che curasse le attività commerciali, una Agenzia di Rappresentanza dell'italianità e dei prodotti nostrani, insomma si doveva andare ben oltre i finanziamenti alle divisioni navali e alle missioni religiose.
Come visto la situazione era instabile in tanti sensi. Quelle cinesi erano vastissime terre dove altrettanto normale era il brigantaggio; quella del brigante era una vera e propria professione, tutti potevano diventarlo, dal primo dei generali all'ultimo degli ultimi dei civili e tra questi, politicamente parlando, si distinguevano i comunisti che, in quanto ad uso della violenza, non si facevano molti scrupoli.
D'altra parte le condizioni di lavoro di molti erano disastrose e i diritti erano un miraggio, si lavorava in tutte le circostanze possibili e umanamente impossibili, era tutto terreno fertile per i bolscevichi, i quali scaltramente si intromettevano negli affari politici con molta diplomazia, tenendo lontano le ideologie, mentre al contrario vicino ai confini con l'URSS le loro politiche diventavano molto più aggressive.
La rivoluzione cinese del 1912 aveva dato grandi speranze a Lenin e ai suoi, successivamente Trotzky aveva sperato di mettere in piedi addirittura 20 milioni di soldati cinesi da affiancare ai 10 milioni russi e agli altri di tutti i Paesi per una insurrezione mondiale, ma la realtà si rivelò ben diversa, nonostante gli intrighi e le politiche di maggiore estensione, che partirono più che altro dal 1924, si instaurarono degli stretti rapporti di cooperazione attiva con il Kuo – Ming – Tang di Ciang Kai Shek, il quale aveva però deposto poi ufficialmente la bandiera rossa in favore di un netto nazionalismo patriottico e aveva così messo in crisi l'esistenza di un vero partito comunista cinese, spiazzando i diplomatici sovietici.
Per Appelius però una predisposizione al comunismo in Cina c'era per ovvi motivi sociali e perché nel passato gli imperi e talune rivolte avevano già portato avanti statalizzazioni e azioni anti – religiose.
L'illusione tuttavia si scontrava coi fatti, il più irrefutabile era quello che tra russi e cinesi vi erano delle differenze antropologiche e culturali rilevanti e inconciliabili e che i gialli in generale tendevano ad odiare i bianchi, considerandoli come inevitabilmente “gli stranieri”.
Il giornalista italiano dunque rilevava che vi erano pochi e veri comunisti cinesi ma che vi erano altri che potevano essere attirati in quell'orbita politica: la poco numerosa classe proletaria industriale; gli intellettuali o gli pseudo tali, più parolai ed opportunisti che altro; una certa massa che viveva nei grandi centri abitati e che si muoveva politicamente in modo molto vago; i contadini che in tante zone erano soggetti alle angherie del primo militare o politicante o brigante di passaggio e che venivano attratti con la formula socialista de “La terra ai contadini”. Tutti, indistintamente però, più che comunisti, in un modo o nell'altro, sembravano esser attaccati alla loro cultura millenaria.
Come detto poi in agguato ci stavano i giapponesi che conquistavano il controllo commerciale e territoriale di sempre più varie regioni dell'Estremo Oriente e i guardinghi sovietici lavoravano per accaparrarsi la benevolenza dei cinesi in funzione anti – nipponica.
Come detto poi in agguato ci stavano i giapponesi che conquistavano il controllo commerciale e territoriale di sempre più varie regioni dell'Estremo Oriente e i guardinghi sovietici lavoravano per accaparrarsi la benevolenza dei cinesi in funzione anti – nipponica.
La Mongolia infine rappresentava un altro caso internazionale, sulla carta era uno Stato libero, di fatto i bolscevichi ne condizionavano pesantemente la vita politica e sociale perseguendo in fondo quello che fino a poco tempo prima era stato quel progetto imperialista – zarista, sia là che ben ovunque .
In conclusione si può dire senza ombra di dubbio che con “La crisi di Budda” l'autore aveva più che ben compreso la realtà in Cina e la proiezione del Paese nel futuro, soprattutto se si pensa a quel che è diventata la Cina oggi e a quello che diventerà... e probabilmente non ci sarà da star tranquilli per quel che succederà per la povera e vetusta nostra inesistente Europa.