lunedì 26 maggio 2025

A PIEDE LIBRO n. 83 - Vincere Assolutissimamente - Mario Appelius

A PIEDE LIBRO n. 83
Intima ed irregolare rubrica Libraria - Anno IV

VINCERE ASSOLUTISSIMAMENTE  

Di Mario Appelius ho parlato in varie occasioni in questa rubrica e l’ho fatto, come qualcuno sa, soprattutto perché da tempo mi sto cimentando su un testo un po’ speciale che lo riguarda. 

Il giornalista tenne il discorso in questione il 25 aprile 1942 al Regio Teatro Verdi di Firenze. Tanti altri erano stati mobilitati per la propaganda di guerra; Appelius, in quei momenti il più popolare tra tutti i giornalisti pure per le sue trasmissioni radiofoniche, non poteva mancare alla chiamata. 

In 18 punti espletò le sue ragioni: tanto per cominciare quel conflitto voluto dai “plutocrati” di Londra e americani avrebbe dovuto concludere il percorso risorgimentale, vendicare la ignominiosa pagina di Versailles con la conseguente ‘vittoria mutilata’ italiana, dare sicurezza alla Nazione nel Mar Mediterraneo che per buona parte era oggetto del dominio britannico, difendere i risparmi dei concittadini dalle speculazioni internazionali, dare la libertà di comperare soprattutto le materie prime senza “chiedere il permesso a nessuno”, costituire una zona – cuscinetto in Europa “fra i barbari russi e il sangue del nostro popolo” ecc. 

Negli anni l’impegno di Mussolini, per cercare una serie di accordi con Francia e Inghilterra, c’era stato ma oramai le posizioni si erano fatte troppo distanti; una divergenza aggravatasi sin dal primo dopoguerra, seguito da quel periodo transitorio dove francesi e inglesi “ci buttarono in mezzo ai piedi un falso bolscevismo”, battuto poi dal fascismo.

Appelius, come era nel suo stile, oltre ad una roboante retorica e tra una invettiva e l’altra, faceva delle ammissioni: a coloro che criticavano la dichiarazione del 10 giugno 1940 diceva che “Quando noi siamo entrati in guerra questa sembrava corta; la guerra è stata allungata da due fenomeni i quali erano assolutamente imprevedibili: uno, l’intervento degli Stati Uniti, l’altro l’intervento della Russia”; d’altra parte perché aspettarsi quel che era accaduto visto che durante la campagna elettorale americana i due candidati avevano fatto a gara nel promettere di non far entrare il loro Paese nel conflitto e perché pensarlo dato che il bolscevismo da sempre presentava se stesso come “pacifico ed internazionale”? 

Nessuno allo stesso modo poteva ipotizzare un crollo così repentino della Francia e da parte sua l’Italia non poteva certo attendere che l’alleato tedesco soddisfacesse tutte quelle che erano le storiche rivendicazioni italiane. Le offerte di pace in ogni caso erano state proposte anche se furono rifiutate dagli inglesi, i quali da secoli avevano avuto l’interesse a ridurre l’Italia a una nazione di secondo piano per i loro interessi e le loro volontà. 

Le operazioni militari italiane non erano mai andate un gran che bene, questo Appelius non lo disse espressamente tuttavia lo sottintendeva quando affermava soltanto che grazie all’esercito italiano le truppe nemiche erano state impegnate, dovendo rinunciare in questo modo ad altri fronti, e quando diceva che l’Italia si trovava in “una pessima situazione strategica”, causa di maggiori attacchi subiti fino ad allora, ma aggiungeva che “Appunto perché abbiamo una pessima situazione strategica facciamo la guerra” anche se poco dopo entrava in contraddizione: “abbiamo un situazione strategica formidabile nel senso che noi siamo al centro del campo di battaglia e mandiamo le nostre forze dove noi vogliamo, al momento che noi vogliamo, mentre i nostri nemici hanno fronti lontani sparpagliati in tutto il mondo”. 

Ammetteva che dappertutto si erano verificate battaglie molto dure e “Quindi noi dobbiamo assolutissimamente vincere”, perché sedersi al tavolo dei vincitori nemici, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Jugoslavia, Grecia, avrebbe significato portare indietro il Paese di un secolo. Colui che non desidera ardentemente questa vittoria “non è un italiano” ma aveva in sé delle “molecole” ereditate dalle “calate dei barbari, durante le scorrerie dei pirati, e l’emigrazione degli ebrei”.

Diversi i motivi del “certissimamente vinceremo”, se ne riportano un paio: perché fino a quel momento erano stati sconfitti “12 milioni di soldati nemici” e perché i 250 milioni di europei e gli altrettanti 250 milioni di asiatici dalla parte dell’Asse non erano certo facile da battersi; in più per vincere gli Alleati sarebbero dovuti arrivare nel cuore dei Paesi loro avversari: “Per occupare Berlino, Roma e Tokio ci vogliono dieci o dodici milioni di grandi soldati che l’Inghilterra e gli Stati Uniti non hanno” o che comunque non sarebbero stati in grado di trasportare assieme alla necessaria mole di materiale bellico. 

In effetti, nonostante tutti i rallentamenti nelle avanzate, le sconfitte, i tragici numeri di morti e feriti, le enormi perdite di armamenti e non solo, il fascismo, il nazismo e l’Impero del Sol Levante contavano su questi fattori per credere che una sconfitta netta non sarebbe stata mai possibile. 

Per vincere si doveva “credere, combattere, obbedire” e quindi “credere nella nostra razza”.

L’errore di Appelius, alla stregua di molti altri, fu quello di considerare gli Stati Uniti come “una quantità non una qualità”. 

I nemici erano sostanzialmente tre: l’imperialismo inglese, il bolscevismo, Israele.

Gli ebrei, al pari degli altri, erano avversari “in quanto desiderano la vittoria dei nostri nemici”. “Gli ebrei se ne debbono andare, Gli ebrei se ne andranno” ma come se “questa gente non la vuole nessuno, nemmeno gli Stati Uniti e nemmeno l’Inghilterra”? 

E poi: “L’intervento nord-americano è la causa del prolungamento di questa guerra che flagella e insanguina il mondo intero. Sapete voi perché si è prodotto veramente l’intervento nord-americano? Per queste semplici cifre che io estraggo da una pubblicazione nord-americana. Gli ebrei posseggono il 97% dei giornali e delle riviste degli Stati Uniti, il 90% delle associazioni radiofoniche nord-americane, il 76% dei teatri e dei cinematografi della Repubblica Stellata, il 96% delle azioni di Compagnie finanziarie dedite all’esportazione, il 90% delle azioni di Compagnie dedite all’importazione, il 72% delle fabbriche nord-americane di armi e armamenti”. 

L’altro nemico, il sovietico, lui confessava che si era battuto bene durante quei mesi e diceva che però “la futura Europa o sarà una Europa comandata dagli italiani e dai germanici o sarà una Europa bolscevica comandata dalla barbarie rossa”. 

Soprattutto attaccava i disfattisti e quegli italiani in odor di comunismo: “Questo filo-bolscevismo da salotto è una delle cose più sciocche che possano esistere”. Gli inglesi invece, fino ad allora, avevano fatto male i conti, perché avevano creduto che da subito l’Italia avrebbe ceduto, sin dalle prime battaglie.   

Appelius non nascondeva neppure il fatto che vi fosse una “contrazione della razione del pane” e che molti italiani erano andati a lavorare nelle fabbriche tedesche lasciando scoperta l’Italia, ma nel primo caso sosteneva che quella limitazione era dovuta alle frodi e a due anni di raccolto del grano non soddisfacente, nel secondo invece affermava che grazie alla manodopera italiana in Germania si erano potute importare materie prime e beni di prima necessità. 

Tra l’altro, per quel che concerneva il razionamento, auspicava che tale misura rimanesse in uso anche dopo la guerra, per facilitare una maggiore parità di fruizione di certi alimenti da parte di tutti, pure per coloro che erano meno abbienti; in proposito si doveva battere una “via di mezzo”, senza scadere nel modello sovietico “dove non si ha più il diritto né di volere né di desiderare”.

Diceva di sapere che gli stipendi percepiti dagli italiani non bastavano più, che le tessere alimentari non risolvevano il problema della fame specialmente tra alcuni bambini, ma dichiarava anche che l’Italia procedeva sul suo cammino tracciato, al contrario di quanto aveva creduto il nemico.

Perciò spesso nel suo discorso tentò di controbattere alle voci pessimistiche che circolavano tra la gente, inclusa quella che avrebbe visto nel futuro una Italia “nazione agricola”, al servizio di una Germania industrializzata, eppure “è impossibile impedire lo sviluppo industriale di una grande nazione di 45 milioni di abitanti che si avvia verso i 50 milioni”, dunque anche in questo settore tra Roma e Berlino vi sarebbe stata una prevedibile collaborazione. 

D’altra parte l’alleanza tra le due Nazioni aveva sancito definitivamente la complementarietà degli obiettivi, facilitata dalla similitudine senza sovrapposizione delle due rivoluzioni e in questo senso non c’era da temere i due revanscismi che, a detta di Appelius, avevano allontanato i due Stati in passato, ovvero l’Impero Asburgico e l’aristocrazia tedesca, entrambi ormai fuori gioco sia per la fine della Grande Guerra sia perché il nazionalsocialismo aveva superato il tutto e non aveva alcun interesse e riportare in vita nulla di quel che era stato.   

Per quel che concerne l’altro alleato, il “grande” Giappone, rispondendo ai bastian contrari, diceva queste parole in parte singolari, perché a leggi razziali vigenti: “I soliti sussurranti che il Giappone vince troppo hanno tirato fuori dal passato anche il cosiddetto pericolo giallo. Il pericolo giallo, parliamoci chiaro, non esiste più dal giorno in cui la signora Inghilterra, messa di fronte a una questione razziale fra i neri di Tafari e i bianchi di Roma, ha preso le parti dei neri di Tafari contro i bianchi di Roma.
Tutte le questioni razziali sono state sepolte perché sono questioni del passato. Noi andiamo verso una civiltà nuova la quale sarà una civiltà europea e una civiltà asiatica. Così come nel passato il mondo ha avuto grandi civiltà in Europa e grandi civiltà in Asia, così in avvenire la civiltà generale dell’umanità sarà un prodotto di questi due grandi spiriti, lo spirito dell’Europa e lo spirito dell’Asia. Mancherà perché non ha diritto a starci, lo spirito dell’America, troppo giovane”.    
  
In caso di un Mediterraneo “spazio economico e politico esclusivamente dell’Italia”, il nostro Paese come in precedenza avrebbe dovuto tenere sempre “carattere nettamente imperiale” ma avrebbe avuto finalmente una “Grande funzione commerciale”, come “porto naturale di smistamento e di distribuzione verso l’Oriente e i paesi africani”.  

 “Noi non stiamo facendo una guerra, noi stiamo facendo una rivoluzione” e quindi vincere e farlo appellandosi a coloro che fecero il Risorgimento, a coloro che sul Piave avevano fermato l’austriaco, ricordando la forza avuta per difendersi dalle quelle sanzioni fissate dalle 52 nazioni contro l’Italia per la guerra d’Etiopia. 

“Vincere, o italiani, Vincere a qualunque costo, Vincere, assolutissimamente Vincere” per l’Italia “eterna”, “nostra terra, nostra gente”, “nostra vita”, “nostra madre”.