“Seppellitemi e poi alzatevi audacemente,
spezzate in due le vostre catene,
e con il sangue impuro dei nemici
cospargete la vostra libertà”
Tutto
lo si fa iniziare con Vladimiro il Grande e suo figlio Yaroslav il
Saggio, a cavallo dell’anno Mille, ma la vera concretizzazione nazionale
sembrò finalmente potersi realizzare tra la Grande Guerra e la Seconda
Guerra Mondiale.
Dopo la rivoluzione di febbraio
scoppiata a San Pietroburgo, venne fondata la Rada che, il 17 marzo
1917, trasformò Kiev in capitale e il 20 novembre proclamò la fondazione
della Repubblica del Popolo Ucraino, la quale avrebbe dovuto esistere
all’interno di una futura ed eventuale Federazione russa. Era solo un
primo passo verso la liberazione. Il capo del governo russo Kerenskij in
persona andò a Kiev per cercare di contenere il dilagare del
nazionalismo; poi la Rivoluzione d’Ottobre, formalmente il 17 dicembre
Lenin accettò quello status quo ma in pratica le ingerenze dei sovietici
si fecero più pressanti e nello stesso mese, difatti, fu creata la
Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina con capitale Kharkiv. Il 22
gennaio 1918, sotto attacco anche militare, gli ucraini dichiararono la
loro completa indipendenza soltanto che a fine mese i bolscevichi
occuparono Kiev, che il 1° marzo 1918 fu a sua volta liberata dai
soldati tedeschi.
A quel punto la Germania riconobbe ufficialmente la
Repubblica del Popolo Ucraino.
Il 3 marzo fu
firmato il trattato di Brest-Litovsk, tuttavia l’esercito del Reich
proseguì ancora per qualche giorno la sua penetrazione, conquistando
Nikolaev, Odessa e Rostov a spese dei comunisti. Nel frattempo altri
ucraini entrarono a far parte dell’esercito germanico e di quello
austro-ungarico, solo che esplosero ugualmente delle conflittualità,
poiché i tedeschi, per evidenti necessità di guerra e non solo,
requisivano quel che potevano, fino ad arrivare a sciogliere il governo
repubblicano per volontà del Generale Eichhorn. Era il 3 maggio 1918,
poco dopo, il 6 luglio, si affermò il regime filo-tedesco di Skoropadsy
che cadde nel novembre successivo, allorquando gli Imperi tedesco e
austriaco dovettero deporre le armi e accettare gli armistizi. Ad
afferrare le redini governative ci provò Simon Petljura, tentando di
parare i colpi che gli arrivavano da ogni direzione, dai sovietici,
dalla Polonia, dall’esercito zarista che continuava a lottare contro
l’Armata Rossa.
Il 1° novembre nacque la
Repubblica dell’Ucraina Occidentale ma i polacchi nel giro di poco
presero Leopoli e quasi tutta la Galizia, facendo cadere le altre
velleità separatiste, anche se quel che rimaneva dello Stato d’Ucraina
d’occidente si univa lo stesso il 22 gennaio 1919 con la Repubblica del
Popolo Ucraino. Intanto, nel febbraio 1919, i russi erano tornati a
farsi avanti, creando di nuovo attorno alla città di Karkhiv uno stato
repubblicano sovietico. Le democrazie occidentali rimasero sorde di
fronte alle richieste di aiuto e Petljura tentò di giocare la sua ultima
carta, stringendo un accordo politico militare con i polacchi il 21
aprile 1920. I risultati si videro ben presto, infatti il 6 maggio 1920 i
polacchi-ucraini entrarono di nuovo a Kiev, eppure i successi durano
altrettanto poco; il Trattato di Riga, siglato l’anno dopo, ristabiliva i
confini precedenti, l’Ucraina si ritrovava spezzata tra sovietici da
una parte e polacchi dall’altra, i sogni di indipendenza svanivano del
tutto, 30 milioni di ucraini sottostavano al giogo comunista, gli altri
sei si trovarono sotto il controllo polacco. L’esercito della Repubblica
del Popolo Ucraino, in un modo o nell’altro, continuò a sopravvivere,
disperso o rifugiatosi entro i confini della Polonia, e fino al 1923
approntò una tenace guerriglia antisovietica.
Il
15 marzo 1923, senza sensi di colpa, le democrazie occidentali
riconoscevano le annessioni della Rutenia alla Cecoslovacchia e della
Galizia alla Polonia, la quale proseguiva la cosiddetta “pacificazione”
iniziata nel 1921, che almeno a parole terminò nel 1925, e che in realtà
era una repressione a tutti gli effetti degli
ucraini, i quali spesso reagirono alle misure con proteste e
boicottaggi. Nel 1926 Petljura fu ucciso da un agente comunista a
Parigi, sembravano non esserci più speranze ma l’Europa era in
subbuglio, tutto poteva ancora accadere e difatti la vittoria del
Fascismo in Italia e la divulgazione all’estero del suo modello furono
tra le cause principali dello spostamento del patriottismo ucraino da
uno storico socialismo nazionale al nazionalismo filo-fascista.
Invece
l’Ucraina sovietizzata rientrava in quel piano leninista di
ri-nazionalizzazione (Korenizatsiia - “ritorno alle origini”) ossia di
rivalutazione nazionale delle varie repubbliche inglobate nell’URSS.
Nella fattispecie fu Lenin a volere una Ucraina con una sua autonomia,
nonostante la contrarietà della maggior parte delle alte gerarchie del
Partito, composte da russi, molti dei quali ebrei. Lo scontro tra
separatisti e centralisti diventò sempre più pesante, vuoi perché la
dittatura per sua natura richiede un accentramento dei poteri, vuoi
perché le spinte autonomiste e talvolta persino separatiste si fecero
più evidenti. Negli anni Trenta la repressione completò il suo percorso,
epurazioni ed eliminazioni di massa diventarono le componenti fondanti
della stalinizzazione così come le tremende carestie causate dalle folli
collettivizzazioni forzate, che uccisero un imprecisabile numero di
persone, anche se si possono calcolare più di qualche milione di morti,
sicuramente sopra i 3 milioni. D’altra parte, in Polonia, la
“pacificazione” riprese proprio nel 1930, i provvedimenti coercitivi
tornarono ad essere particolarmente duri e vennero applicati secondo il
principio delle responsabilità o delle colpe collettive. Villaggi dati
alle fiamme, processi e condanne, campi di concentramento, questo era
quel che stava accadendo nei confronti degli ucraini.
Salito
al potere Hitler nel 1933, quel che il generale E. Von Ludendorff aveva
auspicato e che Alfred Rosenberg aveva fatto suo, ossia una alleanza
tra Germania e Ucraina affinché si potesse creare uno sbarramento
difensivo ad est, saltò completamente poiché il Führer dell’Ucraina in
sé come stato indipendente importava poco, quelli rimanevano per lui dei
territori da conquistare per lo ‘spazio vitale’ germanico. Il NSDAP
negli anni successivi si divise tra filo-slavi e slavofobi.
Smembrata
la Cecoslovacchia da parte del Terzo Reich, le istanze nazionaliste
riemersero immediatamente per esser subito messe a tacere quando, previo
consenso tedesco, l’Ungheria fagocitò l’Ucraina carpatica, che poco
prima aveva dichiarato la sua fallace indipendenza.
Se
il Patto Molotov – Ribbentrop fu una delusione per gli ucraini che
comunque parteciparono all’attacco alla Polonia a fianco alle truppe
della Wehrmacht, la fine di quella campagna militare confermò quelle
loro delusioni; in ogni caso in 600 si erano offerti volontari per una
unità combattente alla quale fu concesso di raggiungere la loro Galizia
durante l’invasione, per poi essere sciolta poco dopo, nel dicembre
1939. La Polonia scomparve come Stato e alcune zone cadute in mano al
Cremlino subirono un primo processo di re-ucrainizzazione, anche se nel
frattempo altri ucraini erano fuggiti nelle terre occupate dai tedeschi o
avevano direttamente raggiunto la Germania per sfuggire ai bolscevichi,
costituendo in seguito diverse associazioni politiche e culturali. Nel
mentre il secondo Congresso dell’OUN si svolse a Roma il 27 agosto 1939
ma l’Organizzazione Ucraini Nazionalisti Ucraini era entrata crisi e si
divise in due blocchi, quello che faceva capo a Melnyk (OUN-M) e l’altro
più radicale a Bandera (OUN-B).
In Europa però
si metteva male, i sovietici si avvicinavano molto pericolosamente al
cuore del continente; i Paese baltici furono da loro annessi così la
Bucovina e la Bessarabia nel giugno 1940.
In
quest’ultima regione vi era una forte presenza di ucraini, quindi,
paradossalmente, per la prima volta la completa unificazione
territoriale di tutti i territori dell’Ucraina avvenne sotto il dominio
dell’URSS, ma chiaramente per i nazionalisti questa era un’altra delle
rovinose truffe intentate dai comunisti.
Si
potevano contare circa 15.000 ucraini al servizio del Terzo Reich fino
al 1941, dopodiché furono formati i battaglioni “Roland” e “Nachtigall”,
addestrati per l’Operazione Barbarossa. Si trattava delle primissime
unità di stranieri schierate con il Terzo Reich. Il ‘Nachtigall’ fu
collocato in Polonia, il “Roland” in Romania, il che provocò dei
dissapori coi romeni, i quali non vedevano di buon occhio gli ucraini
per la storica contesa della Bessarabia.
Nonostante
il grande slancio militare iniziato il 22 giugno 1941, i russi fecero
in tempo ad ammazzare 20.000 nazionalisti ucraini nei primi giorni e
appena il giorno dopo S. Bandera prese carta e penna e scrisse a Hitler
reclamando l’indipendenza della sua Nazione.
L’assalto
a Leopoli, dove si stavano svolgendo numerose esecuzioni, era stato
previsto per il 30 giugno, gli ucraini di loro iniziativa anticiparono
di un giorno quell’attacco, in breve tempo la città fu liberata e la
ordinaria amministrazione fu lasciata proprio al gruppo OUN-B che giocò
d’azzardo e proclamò l’indipendenza. Arrestati gli esponenti politici
locali, a Bandera fu chiesto di ritirare la dichiarazione, ma declinò
l’invito, fu quindi fermato e condotto al campo di Sachsenhausen. In
quei periodi iniziarono addirittura a scontrarsi anche con le armi in
mano quelle che erano diventate due opposte fazioni del nazionalismo:
l’OUN-B e l’OUN-M.
In sostanza una parte di
Ucraina fu accorpata al Governatorato polacco, la Transinistria passò
alla Romania, mentre ad est del Paese fu creato il Reichskommissariat
con a capo Erich Koch, Gaulaiter della Prussia Orientale, un nazista che
proveniva dall’area del partito più filo nazional-bolscevica, un
personaggio che era sostenuto da due potenti gerarchi: Bormann e
Goering. Con lui gli ucraini subirono dei maltrattamenti inattesi, i
giovani vennero deportati come forza lavoro, fu vietata una qualsiasi
forma di associazione e di auto-amministrazione, il kolchoz, ossia la
gestione pubblica dei terreni fu mantenuta a scapito di una cessione in
forma privata ai contadini che volevano quella terra a loro strappata
dai bolscevichi. Naturalmente le reazioni anche armate non mancarono e
tutta la zona est si trasformò in un focolaio di rivolte, l’intero
territorio diventò non del tutto controllabile oltre che fortemente
insicuro.
A Koch, non a caso, venne attribuita la famigerata frase: “Se
incontrassi un ucraino che si merita di sedersi alla mia tavola, non
esiterei a farlo fucilare all’istante”. Koch e Rosenberg entrarono in
duro contrasto, ma le proteste, i dossier, le accuse del Ministro si
bloccavano davanti ai continui e sordi rifiuti del Führer.
I
piani di Bandera, quelli meno radicali di Melnyk e perfino quelli di
Skoropadsky, che aveva proposto una autonomia ucraina in cambio di un
esercito di circa 2 milioni di soldati che avrebbero marciato al fianco
della Wehrmacht, saltarono. Anche il ‘Generalplan Ost’ di Alfred
Rosenberg, Ministro dei territori occupati, progetto che prevedeva una
serie di Stati indipendenti ad est, alleati alla Germania, rimase
lettera morta tanto più perché i militari tedeschi erano contrari ad una
propaganda di filo-nazionalizzazioni e separatismi, cosa che avrebbe
destabilizzato secondo loro la linea d’attacco e la retroguardia, quando
invece bisognava concentrare tutti gli sforzi sull’anticomunismo e
l’anti-stalinismo, tralasciando tutto il resto.
Quella
‘guerra rivoluzionaria’ rivolta ad est si rivelò essere ben altro
all’atto pratico: liberazione nazionale oppure una “reale campagna
contro il comunismo”, dice l’autore, e in questi casi “l’Ucraina si
sarebbe trasformata, con il suo immenso potenziale demografico ed
economico, in un sostegno alla causa dell’Asse”.
In
effetti gli ucraini fecero un po’ di tutto per farsi accettare ma i
tedeschi rimasero insensibili alle offerte che arrivavano; in un certo
qual modo preferirono incentivare il nazionalismo separatista delle
regioni caucasiche e di tutte le altre fuori dalla ipotetica linea del
loro Lebensraum, con risultati non certo rilevanti, piuttosto che
favorire le istanze ucraine. L’Ucraina doveva diventare una estensione
territoriale tedesca, il resto non poteva e non doveva contare.
“Roland”
e “Nachtigall” furono smobilitate lungo l’estate e definitivamente
sciolte il 21 ottobre ma altri gruppi perfino clandestini continuarono
ad esistere. La lotta al bolscevismo e l’obiettivo della liberazione
proseguivano non senza difficoltà: anche l’unità di Borovets, il ‘Sich
Polesiano’, e la relativa ‘Repubblica di Olevesk’ furono sciolte dai
tedeschi a fine anno, il tutto confluì nell’Esercito Ribelle Ucraino
(UPA), formatosi ad inizio 1942, sempre comandato da Taras Borovets, e
che seppur raramente si scontrò pure coi tedeschi, anche se gli
obiettivi dei nazionalisti rimanevano chiaramente altri.
Con
l’avanzata, l’esercito germanico lasciava mano a mano le
amministrazioni locali a figure politiche di partito o ai funzionari di
Stato e a quel punto iniziavano i problemi, tutti però da circoscrivere
alle terre dell’est dell’Ucraina. Il 19 settembre 1941 le truppe
entrarono a Kiev, in quel mese erano iniziati da parte tedesca i
rastrellamenti dei banderisti nei territori ex sovietici. Il 24 ottobre
fu occupata Kharkiv e il giorno dopo iniziò a circolare un memorandum
favorevole all’indipendenza dell’Ucraina. In una lettera del 7 novembre
1941 del Metropolita di Kiev spedita al Vaticano si leggeva che ben
400.000 ucraini erano stati imprigionati, eliminati o deportati dai
sovietici dopo l’occupazione del Paese da parte dell’URSS. Il 17
novembre fu sciolta la Rada ossia il Consiglio Nazionale guidato
dall’OUN-M.
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