sabato 10 maggio 2025

Spezzando le catene. La divisione ucraina delle WAFFEN SS - Carlos Caballero Jurado - Prima parte

 
PRIMA PARTE

“Seppellitemi e poi alzatevi audacemente,
spezzate in due le vostre catene,
e con il sangue impuro dei nemici
cospargete la vostra libertà”

Taras H. Shevchenko

Tutto lo si fa iniziare con Vladimiro il Grande e suo figlio Yaroslav il Saggio, a cavallo dell’anno Mille, ma la vera concretizzazione nazionale sembrò finalmente potersi realizzare tra la Grande Guerra e la Seconda Guerra Mondiale.
 
Dopo la rivoluzione di febbraio scoppiata a San Pietroburgo, venne fondata la Rada che, il 17 marzo 1917, trasformò Kiev in capitale e il 20 novembre proclamò la fondazione della Repubblica del Popolo Ucraino, la quale avrebbe dovuto esistere all’interno di una futura ed eventuale Federazione russa. Era solo un primo passo verso la liberazione. Il capo del governo russo Kerenskij in persona andò a Kiev per cercare di contenere il dilagare del nazionalismo; poi la Rivoluzione d’Ottobre, formalmente il 17 dicembre Lenin accettò quello status quo ma in pratica le ingerenze dei sovietici si fecero più pressanti e nello stesso mese, difatti, fu creata la Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina con capitale Kharkiv. Il 22 gennaio 1918, sotto attacco anche militare, gli ucraini dichiararono la loro completa indipendenza soltanto che a fine mese i bolscevichi occuparono Kiev, che il 1° marzo 1918 fu a sua volta liberata dai soldati tedeschi. 
 
A quel punto la Germania riconobbe ufficialmente la Repubblica del Popolo Ucraino. 
 
Il 3 marzo fu firmato il trattato di Brest-Litovsk, tuttavia l’esercito del Reich proseguì ancora per qualche giorno la sua penetrazione, conquistando Nikolaev, Odessa e Rostov a spese dei comunisti. Nel frattempo altri ucraini entrarono a far parte dell’esercito germanico e di quello austro-ungarico, solo che esplosero ugualmente delle conflittualità, poiché i tedeschi, per evidenti necessità di guerra e non solo, requisivano quel che potevano, fino ad arrivare a sciogliere il governo repubblicano per volontà del Generale Eichhorn. Era il 3 maggio 1918, poco dopo, il 6 luglio, si affermò il regime filo-tedesco di Skoropadsy che cadde nel novembre successivo, allorquando gli Imperi tedesco e austriaco dovettero deporre le armi e accettare gli armistizi. Ad afferrare le redini governative ci provò Simon Petljura, tentando di parare i colpi che gli arrivavano da ogni direzione, dai sovietici, dalla Polonia, dall’esercito zarista che continuava a lottare contro l’Armata Rossa. 
 
Il 1° novembre nacque la Repubblica dell’Ucraina Occidentale ma i polacchi nel giro di poco presero Leopoli e quasi tutta la Galizia, facendo cadere le altre velleità separatiste, anche se quel che rimaneva dello Stato d’Ucraina d’occidente si univa lo stesso il 22 gennaio 1919 con la Repubblica del Popolo Ucraino. Intanto, nel febbraio 1919, i russi erano tornati a farsi avanti, creando di nuovo attorno alla città di Karkhiv uno stato repubblicano sovietico. Le democrazie occidentali rimasero sorde di fronte alle richieste di aiuto e Petljura tentò di giocare la sua ultima carta, stringendo un accordo politico militare con i polacchi il 21 aprile 1920. I risultati si videro ben presto, infatti il 6 maggio 1920 i polacchi-ucraini entrarono di nuovo a Kiev, eppure i successi durano altrettanto poco; il Trattato di Riga, siglato l’anno dopo, ristabiliva i confini precedenti, l’Ucraina si ritrovava spezzata tra sovietici da una parte e polacchi dall’altra, i sogni di indipendenza svanivano del tutto, 30 milioni di ucraini sottostavano al giogo comunista, gli altri sei si trovarono sotto il controllo polacco. L’esercito della Repubblica del Popolo Ucraino, in un modo o nell’altro, continuò a sopravvivere, disperso o rifugiatosi entro i confini della Polonia, e fino al 1923 approntò una tenace guerriglia antisovietica. 
 
Il 15 marzo 1923, senza sensi di colpa, le democrazie occidentali riconoscevano le annessioni della Rutenia alla Cecoslovacchia e della Galizia alla Polonia, la quale proseguiva la cosiddetta “pacificazione” iniziata nel 1921, che almeno a parole terminò nel 1925, e che in realtà era una repressione a tutti gli effetti degli ucraini, i quali spesso reagirono alle misure con proteste e boicottaggi. Nel 1926 Petljura fu ucciso da un agente comunista a Parigi, sembravano non esserci più speranze ma l’Europa era in subbuglio, tutto poteva ancora accadere e difatti la vittoria del Fascismo in Italia e la divulgazione all’estero del suo modello furono tra le cause principali dello spostamento del patriottismo ucraino da uno storico socialismo nazionale al nazionalismo filo-fascista.  
 
Invece l’Ucraina sovietizzata rientrava in quel piano leninista di ri-nazionalizzazione (Korenizatsiia - “ritorno alle origini”) ossia di rivalutazione nazionale delle varie repubbliche inglobate nell’URSS. Nella fattispecie fu Lenin a volere una Ucraina con una sua autonomia, nonostante la contrarietà della maggior parte delle alte gerarchie del Partito, composte da russi, molti dei quali ebrei. Lo scontro tra separatisti e centralisti diventò sempre più pesante, vuoi perché la dittatura per sua natura richiede un accentramento dei poteri, vuoi perché le spinte autonomiste e talvolta persino separatiste si fecero più evidenti. Negli anni Trenta la repressione completò il suo percorso, epurazioni ed eliminazioni di massa diventarono le componenti fondanti della stalinizzazione così come le tremende carestie causate dalle folli collettivizzazioni forzate, che uccisero un imprecisabile numero di persone, anche se si possono calcolare più di qualche milione di morti, sicuramente sopra i 3 milioni. D’altra parte, in Polonia, la “pacificazione” riprese proprio nel 1930, i provvedimenti coercitivi tornarono ad essere particolarmente duri e vennero applicati secondo il principio delle responsabilità o delle colpe collettive. Villaggi dati alle fiamme, processi e condanne, campi di concentramento, questo era quel che stava accadendo nei confronti degli ucraini.    
        
Salito al potere Hitler nel 1933, quel che il generale E. Von Ludendorff aveva auspicato e che Alfred Rosenberg aveva fatto suo, ossia una alleanza tra Germania e Ucraina affinché si potesse creare uno sbarramento difensivo ad est, saltò completamente poiché il Führer dell’Ucraina in sé come stato indipendente importava poco, quelli rimanevano per lui dei territori da conquistare per lo ‘spazio vitale’ germanico. Il NSDAP negli anni successivi si divise tra filo-slavi e slavofobi.
 
Smembrata la Cecoslovacchia da parte del Terzo Reich, le istanze nazionaliste riemersero immediatamente per esser subito messe a tacere quando, previo consenso tedesco, l’Ungheria fagocitò l’Ucraina carpatica, che poco prima aveva dichiarato la sua fallace indipendenza.
 
Se il Patto Molotov – Ribbentrop fu una delusione per gli ucraini che comunque parteciparono all’attacco alla Polonia a fianco alle truppe della Wehrmacht, la fine di quella campagna militare confermò quelle loro delusioni; in ogni caso in 600 si erano offerti volontari per una unità combattente alla quale fu concesso di raggiungere la loro Galizia durante l’invasione, per poi essere sciolta poco dopo, nel dicembre 1939. La Polonia scomparve come Stato e alcune zone cadute in mano al Cremlino subirono un primo processo di re-ucrainizzazione, anche se nel frattempo altri ucraini erano fuggiti nelle terre occupate dai tedeschi o avevano direttamente raggiunto la Germania per sfuggire ai bolscevichi, costituendo in seguito diverse associazioni politiche e culturali. Nel mentre il secondo Congresso dell’OUN si svolse a Roma il 27 agosto 1939 ma l’Organizzazione Ucraini Nazionalisti Ucraini era entrata crisi e si divise in due blocchi, quello che faceva capo a Melnyk (OUN-M) e l’altro più radicale a Bandera (OUN-B). 
   
In Europa però si metteva male, i sovietici si avvicinavano molto pericolosamente al cuore del continente; i Paese baltici furono da loro annessi così la Bucovina e la Bessarabia nel giugno 1940.

In quest’ultima regione vi era una forte presenza di ucraini, quindi, paradossalmente, per la prima volta la completa unificazione territoriale di tutti i territori dell’Ucraina avvenne sotto il dominio dell’URSS, ma chiaramente per i nazionalisti questa era un’altra delle rovinose truffe intentate dai comunisti. 
 
Si potevano contare circa 15.000 ucraini al servizio del Terzo Reich fino al 1941, dopodiché furono formati i battaglioni “Roland” e “Nachtigall”, addestrati per l’Operazione Barbarossa. Si trattava delle primissime unità di stranieri schierate con il Terzo Reich. Il ‘Nachtigall’ fu collocato in Polonia, il “Roland” in Romania, il che provocò dei dissapori coi romeni, i quali non vedevano di buon occhio gli ucraini per la storica contesa della Bessarabia.  
 
Nonostante il grande slancio militare iniziato il 22 giugno 1941, i russi fecero in tempo ad ammazzare 20.000 nazionalisti ucraini nei primi giorni e appena il giorno dopo S. Bandera prese carta e penna e scrisse a Hitler reclamando l’indipendenza della sua Nazione. 
 
L’assalto a Leopoli, dove si stavano svolgendo numerose esecuzioni, era stato previsto per il 30 giugno, gli ucraini di loro iniziativa anticiparono di un giorno quell’attacco, in breve tempo la città fu liberata e la ordinaria amministrazione fu lasciata proprio al gruppo OUN-B che giocò d’azzardo e proclamò l’indipendenza. Arrestati gli esponenti politici locali, a Bandera fu chiesto di ritirare la dichiarazione, ma declinò l’invito, fu quindi fermato e condotto al campo di Sachsenhausen. In quei periodi iniziarono addirittura a scontrarsi anche con le armi in mano quelle che erano diventate due opposte fazioni del nazionalismo: l’OUN-B e l’OUN-M.
 
In sostanza una parte di Ucraina fu accorpata al Governatorato polacco, la Transinistria passò alla Romania, mentre ad est del Paese fu creato il Reichskommissariat con a capo Erich Koch, Gaulaiter della Prussia Orientale, un nazista che proveniva dall’area del partito più filo nazional-bolscevica, un personaggio che era sostenuto da due potenti gerarchi: Bormann e Goering. Con lui gli ucraini subirono dei maltrattamenti inattesi, i giovani vennero deportati come forza lavoro, fu vietata una qualsiasi forma di associazione e di auto-amministrazione, il kolchoz, ossia la gestione pubblica dei terreni fu mantenuta a scapito di una cessione in forma privata ai contadini che volevano quella terra a loro strappata dai bolscevichi. Naturalmente le reazioni anche armate non mancarono e tutta la zona est si trasformò in un focolaio di rivolte, l’intero territorio diventò non del tutto controllabile oltre che fortemente insicuro. 

 
A Koch, non a caso, venne attribuita la famigerata frase: “Se incontrassi un ucraino che si

merita di sedersi alla mia tavola, non esiterei a farlo fucilare all’istante”. Koch e Rosenberg entrarono in duro contrasto, ma le proteste, i dossier, le accuse del Ministro si bloccavano davanti ai continui e sordi rifiuti del Führer.             
 
I piani di Bandera, quelli meno radicali di Melnyk e perfino quelli di Skoropadsky, che aveva proposto una autonomia ucraina in cambio di un esercito di circa 2 milioni di soldati che avrebbero marciato al fianco della Wehrmacht, saltarono. Anche il ‘Generalplan Ost’ di Alfred Rosenberg, Ministro dei territori occupati, progetto che prevedeva una serie di Stati indipendenti ad est, alleati alla Germania, rimase lettera morta tanto più perché i militari tedeschi erano contrari ad una propaganda di filo-nazionalizzazioni e separatismi, cosa che avrebbe destabilizzato secondo loro la linea d’attacco e la retroguardia, quando invece bisognava concentrare tutti gli sforzi sull’anticomunismo e l’anti-stalinismo, tralasciando tutto il resto.   
Quella ‘guerra rivoluzionaria’ rivolta ad est si rivelò essere ben altro all’atto pratico: liberazione nazionale oppure una “reale campagna contro il comunismo”, dice l’autore, e in questi casi “l’Ucraina si sarebbe trasformata, con il suo immenso potenziale demografico ed economico, in un sostegno alla causa dell’Asse”.

In effetti gli ucraini fecero un po’ di tutto per farsi accettare ma i tedeschi rimasero insensibili alle offerte che arrivavano; in un certo qual modo preferirono incentivare il nazionalismo separatista delle regioni caucasiche e di tutte le altre fuori dalla ipotetica linea del loro Lebensraum, con risultati non certo rilevanti, piuttosto che favorire le istanze ucraine. L’Ucraina doveva diventare una estensione territoriale tedesca, il resto non poteva e non doveva contare.  
 
“Roland” e “Nachtigall” furono smobilitate lungo l’estate e definitivamente sciolte il 21 ottobre ma altri gruppi perfino clandestini continuarono ad esistere. La lotta al bolscevismo e l’obiettivo della liberazione proseguivano non senza difficoltà: anche l’unità di Borovets, il ‘Sich Polesiano’, e la relativa ‘Repubblica di Olevesk’ furono sciolte dai tedeschi a fine anno, il tutto confluì nell’Esercito Ribelle Ucraino (UPA), formatosi ad inizio 1942, sempre comandato da Taras Borovets, e che seppur raramente si scontrò pure coi tedeschi, anche se gli obiettivi dei nazionalisti rimanevano chiaramente altri.
 
Con l’avanzata, l’esercito germanico lasciava mano a mano le amministrazioni locali a figure politiche di partito o ai funzionari di Stato e a quel punto iniziavano i problemi, tutti però da circoscrivere alle terre dell’est dell’Ucraina. Il 19 settembre 1941 le truppe entrarono a Kiev, in quel mese erano iniziati da parte tedesca i rastrellamenti dei banderisti nei territori ex sovietici. Il 24 ottobre fu occupata Kharkiv e il giorno dopo iniziò a circolare un memorandum favorevole all’indipendenza dell’Ucraina. In una lettera del 7 novembre 1941 del Metropolita di Kiev spedita al Vaticano si leggeva che ben 400.000 ucraini erano stati imprigionati, eliminati o deportati dai sovietici dopo l’occupazione del Paese da parte dell’URSS. Il 17 novembre fu sciolta la Rada ossia il Consiglio Nazionale guidato dall’OUN-M.