martedì 12 agosto 2025

Il gatto o il tipo ariano secondo H. P. Lovecraft

IL GATTO O IL TIPO ARIANO SECONDO H. P. LOVECRAFT 

Il grande scrittore dell’orrore cosmico Lovecraft scrisse tanto nella sua vita, molti racconti, decine di migliaia di lettere (Sebastiano Fusco addirittura parla di 100 mila epistole) e qualche saggio. 

Tra questi ultimi, a mio avviso, ne spicca uno: quello compilato nel 1926 , intitolato “Cani e gatti” e che uscì postumo nell’agosto 1937 sulla rivista “Leaves”, a pochi mesi dalla sua prematura dipartita. 

“Cani e gatti” è una dichiarazione d’amore per i felini e una sfuriata d’odio contro i cani ma è soprattutto un testo interessante per i suoi contenuti politici, esplicitati attraverso i personali giudizi sui due animali domestici, ed è quindi un breve saggio mediante il quale si realizzano forse meglio che altrove le idee radicali del ‘Solitario di Providence’.

L’ODIO PER LA DEMOCRAZIA
 
Intanto per cominciare Lovecraft era un convinto antidemocratico, diceva che il cane è fondamentalmente amato dalla “gente superficiale, sentimentale, emotiva e democratica”, mentre il gatto è un po’ come il guerriero che, proprio “per la bellezza, la gloria, la fama e lo splendore di una corte reale sulla quale non si ombra di debolezza o di democrazia”, combatte e lotta.

IL RAZZISMO
 
Tanti sono gli spunti razzisti rintracciabili nei suoi scritti, spesso rivolti contro le persone di colore. 

In queste pagine scrisse: “Non ho una spiccata antipatia per i cani, più di quanta ne possa avere per scimmie, esseri umani, negri, mucche, pecore o pterodattili”, ma i suoi strali li lanciò anche contro altre popolazioni di ‘razza bianca’: “i cani godono il favore delle popolazioni grevi, pratiche e bevitrici di birra dell’Europa centrale”.

SUPEROMISMO E ARIANESIMO
 
Tuttavia sono il suo nietzscheanesimo e la sua visione dell’uomo aristocratico e ariano ad attirare di più le attenzioni.

Secondo lui i “nordici” “governano la propria vita o muoiono” ma le coincidenze tra i felini e gli uomini antichi del nord riguardano anche l’indole, lo stile di vita di entrambe gli esseri viventi, in una serie di archetipi che sembrano ricondurre a quel che lo psicologo C. G. Jung chiamò “l’inconscio collettivo ariano”: “I gatti sono le rune di bellezza, invincibilità meraviglia, orgoglio, libertà, distacco, autosufficienza e squisito individualismo: le qualità di uomini sensibili, illuminati, mentalmente evoluti, pagani, cinici, poetici, filosofici, freddi, riservati, indipendenti, nietzschiani, educati, civilizzati, dominatori”.

Le similitudini arrivano pure a toccare un aspetto che si potrebbe definire come anticristiano: “Lasciamo che le persone scialbe, le quali credono nel ‘porgere l’altra guancia’, si consolino con i cani servili; ma per il vigoroso pagano, nelle cui vene scorre il sangue dei crepuscoli del Nord, non c’è altro animale come il gatto; intrepido destriero di Freya che sa guardare orgogliosamente in volto anche Thor e Odino, fissandoli con i grandi occhi rotondi e contemplativi, limpidamente gialli o verdi”.

Una corrispondenza la si ritrova pure nella loro innata ricerca del Bello, della Verità, nelle loro azioni e in quella convergenza del loro microcosmo con il macrocosmo e con il senso della Natura stessa: “l’inflessibile fedeltà classica alla verità, forza e bellezza che una mente limpida e uno spirito indomito vedeva incarnarsi nell’ariano occidentale che si confrontava con la maestà, la bellezza e l’indifferenza con la Natura. 

Questa è l’etica e l’estetica virile dei muscoli estensori – le impavidi, vivaci, sicure, opinioni e preferenze di orgogliosi, dominanti, invitti e coraggiosi conquistatori, cacciatori e guerrieri – e non sa che farsene delle ipocrisie e dei piagnucolii sdilinquiti e fraterni di gente servile, sentimentale e pacifica. 

Bellezza e autosufficienza, qualità gemelle del cosmo stesso, sono gli dèi di questo tipo aristocratico e pagano; per il devoto di simili cose eterne la suprema virtù non risiede nell’umiltà, devozione, obbedienza, e nel disordine emotivo.

Questo adoratore cercherà ciò che meglio incarna la bellezza delle stelle e dei mondi, delle foreste, dei mari e dei tramonti, e che meglio impersona la gentilezza, la signorilità, la precisione, l’autosufficienza, la crudeltà, l’indipendenza, e la sprezzante e capricciosa impersonalità della Natura che tutto governa. Bellezza, distacco, indifferenza, filosofica tranquillità, autosufficienza, mistero inviolato”

Inoltre anche nella solitudine il gatto “Come l’uomo superiore, sa stare solo ed essere felice”.

Infine, di fronte alla evidente decadenza della civiltà occidentale, ben analizzata da alcuni suoi contemporanei e da altri che lo precedettero, lo scrittore statunitense sembrò intravedere un possibile riscatto, un plausibile risveglio, un eventuale ritorno alla purezza dell’antichità: “La stella del gatto, credo, comincia a brillare proprio adesso, nel momento in cui, poco alla volta, usciamo dai sogni di etica e democrazia che hanno annebbiato il diciannovesimo secolo, innalzando il cane laborioso e sgradevole ai vertici di una considerazione sentimentale. 

Nessuno può ancora dire se una rinascita della monarchia e della bellezza ripristinerà la nostra civiltà occidentale, o se le forze della disintegrazione siano già troppo potenti per essere contrastate anche dal sentimento fascista; ma nel presente momento in cui viene smascherato un mondo cinico sospeso fra le finzioni dell’Ottocento e il minaccioso mistero dei decenni che incombono su di noi, scorgiamo almeno un barlume del vecchio punto di vista pagano, dell’antica chiarezza e onestà pagana”.

Ma allora, si può veramente affermare che Lovecraft avesse solo torto?