venerdì 1 agosto 2025

A PIEDE LIBRO n.151 - Putin e la ricostruzione della Grande Russia - Sergio Romano

A PIEDE LIBRO n.151
Intima ed irregolare rubrica libraria - Anno VI

PUTIN E LA RICOSTRUZIONE DELLA GRANDE RUSSIA 

Ambasciatore in Unione Sovietica tra il 1985 e il 1989, Sergio Romano è sicuramente un buon conoscitore della Russia, oltre che persona seria e decentemente preparata (anche se non sempre ed anche con questa pubblicazione lo conferma) rispetto ad una classe di intellettuali italiani spesso più fantocci fabbrica-profitti che altro.

Questo suo libro su Putin uscì nel 2016, quindi molto prima della invasione russa in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, e a ragion veduta, pur non eccellendo nei contenuti, contiene alcune affermazioni e opinioni di spessore.  

Quasi ovviamente direi, l’ex diplomatico italiano parte dal risveglio dei nazionalismi delle ex repubbliche sovietiche negli anni Novanta e quindi dall’instabilità che scoppiò sui confini di una Russia che potenza mondiale d’improvviso non era più. 

I nazionalismi ebbero gioco facile, intanto perché riemersero quegli antichi attriti del passato con la Russia di epoca zarista e sovietica e poi perché “Tutte le frontiere erano state manipolate da Stalin e dai suoi successori”, generando a distanza di tempo dei pesanti squilibri; inoltre deportazioni ed emigrazioni interne, risalenti soprattutto all’epoca staliniana, le quali avevano permesso “a Mosca di evitare che la nazionalità dominante di ogni repubblica divenisse troppo potente”, erano diventate motivo di scontri in taluni casi. 

In Ossezia, nel Nagorno-Karabach, in Crimea, in Transnistria andò creandosi uno stato di agitazione che anni dopo, talvolta, deflagrò in veri e propri conflitti, come in Cecenia, dove Eltsin decise di correre ai ripari militarmente già nel 1994. 

Fu invece “evitata una guerra ucraina soltanto perché i due presidenti El’cin e Leonid Kuma, si misero d’accordo su una formula che avrebbe permesso alla Russia di conservare per lunghi periodi rinnovabili la base navale di Sebastopoli”. 

La Crimea invece era stata concessa da Krusciov alla Repubblica Ucraina nel 1954, in occasione del terzo centenario di quell’accordo mediante il quale i cosacchi si erano sottoposti all’autorità russa e passò di nuovo alla Russia grazie ad un contestato referendum del marzo 2014, anno in cui il Doneck e il Lugansk si ribellarono a Kiev, proclamandosi “repubbliche popolari” in aprile, anche se Mosca preferì non riconoscerle come indipendenti. 

Putin decise di non tirare troppo la corda, si fermò. Oggi sarà ancora probabilmente pentito di quelle decisione, in ogni caso un avvertimento ben chiaro era stato lanciato: la NATO non doveva mettere piede alle porte della Russia. 

Da lì nacquero gli accordi di Minsk, che però sul campo fallirono, poiché non furono mai rispettati in toto specialmente da Kiev.

La Russia ai confini tremava, gli Stati di nuova costituzione traballavano a causa dei loro governi che amministravano su basi incerte e soggette a facili scossoni. Mosca stessa aveva perduto il suo potere di accentramento e nelle periferie della nazione la situazione si era fatta insicura, vuoi pure perché una nuova figura, quella dell’oligarca, era diventata promotrice di ulteriori poteri spesso enormi. 

Non si dice mai, ma i così famosi primi oligarchi russi, e anche i successivi, provenivano dal Komsomol (l’Unione della Gioventù Comunista Leninista). Costoro si appropriarono di interi pezzi dello Stato decaduto e crearono degli ampi domini personali a scapito di tutti gli altri. 

Lo stesso Sergio Romano dice che “Ancora non sappiamo con precisione perché la scelta sia caduta su Vladimir Putin”, un giovane sconosciuto, ex spia nella Germania dell’Est, che a distanza di anni, dopo il crollo del Muro di Berlino, confermò: “Abbiamo distrutto tutto: tutti i rapporti, le liste dei nostri contatti e le informazioni sulla rete dei nostri agenti. Io ho bruciato personalmente una notevole quantità di materiale”. 

Probabilmente dietro quella veloce ascesa ci fu il Servizio Federale di Sicurezza, l’ex KGB, che nonostante i tanti terremoti continuava ad operare, a mantenere una sua solidità e una grossa capacità decisionale a livello politico. 

Eltsin nel 1999 nominò Putin Primo Ministro.

Una delle immediate priorità divenne la guerra in Cecenia e la lotta al terrorismo ceceno. Un’altra battaglia fu ingaggiata contro gli oligarchi, che erano dei cani sciolti non facilmente gestibili, ma da quel momento avrebbero dovuto porsi sotto il controllo dello Stato e soprattutto della persona del Presidente, altrimenti sarebbero stati fatti fuori e qualcheduno fu eliminato per davvero. 

Suona però molto strano che un esperto come Sergio Romano abbia fatto una tale affermazione, che probabilmente non farebbe più oggi  a cuor leggero, ma che neppure nel 2016 avrebbe dovuto fare, se non altro perché l’URSS fu ben altra cosa rispetto a quel che disse a proposito di “collaudata, pragmatica usanza sovietica. Un prigioniero in Siberia può divenire un polo di aggregazione per critici e dissidenti; un prigioniero liberato al momento opportuno può essere più facilmente dimenticato”. 

Imbarazzante è anche la sua affermazione sui 4000 ufficiali polacchi uccisi dai sovietici nel maggio 1940”a Katyn. E tutti gli altri? Gli altri 18.000 soldati, politici, industriali, intellettuali polacchi massacrati sempre a Katyn dove sono andati a finire? 

A Putin spettava non solo la ricostituzione e la messa in sicurezza dei confini del proprio Paese, doveva anche generare un nuovo status politico-morale-nazionale. In questo senso il riavvicinamento alla Chiesa ortodossa, iniziato già con Gorbaciov e proseguito con Eltsin, ebbe una sua continuità con lui, tant’è che ancora oggi la presenza di Putin alle più importanti cerimonie religiose e i tanti rapporti con le istituzioni religiose non possono non avere una valenza anche politica, del resto il Patriarca Kirill, qualcuno potrebbe ricordare, fu un collega del giovane Vladimir, pare infatti che entrambi da giovani siano stati spie del KGB. 

In più, in diverse occasioni, il riconoscimento ufficiale di Sant’Andrea, o meglio della croce di Sant’Andrea, è stato un modo come un altro per affermare il mito di Mosca “Terza Roma”, erede dell’Impero bizantino. Quel che è chiaro in generale è che invece di una vera e propria resa dei conti col passato, la Mosca di Putin sia riuscita sempre a dare una continuità nazionale con le Russie precedenti, grazie a un sincretismo che è diventato una missione politica, che è arrivata a riabilitare intellettuali eurasiatisti del periodo zarista e di quello sovietico. 

Sergio Romano cita anche l’oggi famoso Aleksandr Dugin e dice di lui, un po’ troppo sbrigativamente ed erroneamente, “ha esordito nella vita pubblica come un dissidente dell’estrema destra”.  

Il nodo ucraino rimane chiaramente uno dei principali da sciogliere: il ribaltone elettorale avvenuto con la cancellazione della vittoria alle urne del filo-russo Viktor Janucovi
 e la successiva vittoria del suo sfidante filo-occidentale Viktor Juščenko nel 2005, in generale le intromissioni degli americani nelle politiche ucraine, inclusa quella in cui al vertice NATO dell’aprile 2008 a Bucarest proposero l’inserimento di Ucraina e Georgia nell’alleanza atlantica e la Georgia, come si sa, entrò perfino in aperto conflitto armato col Cremlino pochi mesi dopo. 

Dopodiché non si può poi certo dimenticare quel che accadde in Ucraina nel 2014 e che fu prodromico ancora più del resto a quel sta avvenendo ora.

I tempi in cui la NATO sembrava poter diventare un’alleanza di tipo globale o quasi, grazie agli ottimi rapporti di Putin con l’Occidente, erano lontani, troppo era accaduto da quel 2001. Chiaramente più la NATO si avvicinava al territorio russo, più le intese e gli accordi venivano meno. 

Nel 2002 George Bush riavviò la corsa agli armamenti e annunciò la costruzioni di basi antimissilistiche anche in Europa, perché da quell’11 settembre dell’anno prima era diventata fondamentale una maggiore capacità difensiva sosteneva il Presidente americano, per non dire pure opportunamente offensiva; un piano che solo leggermente fu ridimensionato dopo da Barack Obama. 

Pressioni e intromissioni americane nei confronti della Russia con gli anni si sono moltiplicate mentre sulla guerra hacker l’ex diplomatico italiano scriveva che “Non sembra che nell’uso di questi mezzi alcuni Stati siano più colpevoli di altri” ma in realtà si parla solo e sempre dei soliti presunti “colpevoli”. 

Ci sono alcuni dati che poi fanno pensare: in Ucraina su un totale di 44 milioni di persone, il 17% sono russi; in Estonia lo sono il 24%; in Lettonia il 26,2%. Insomma ragioni per altri crisi internazionali di varia natura potrebbero non mancare in futuro.

Nel caso specifico dell’Ucraina, S. Romano ha sostenuto che “Alcuni Paesi europei (quelli che volevano annettere l’Ucraina alla Nato) sembrano avere trattato la questione con superficiale leggerezza. Avrebbero dovuto chiedersi anzitutto se all’organizzazione militare dei Paesi atlantici convenisse avere tra i soci del club un Paese in cui vi sarebbe stata una quinta colonna russa forte di circa sei o sette milioni di persone. 

Se avessero riflettuto, si sarebbero resi conto che la migliore delle soluzioni possibili, anche soprattutto per gli ucraini, sarebbe stata un’Ucraina neutrale, né russa né atlantica”. 

Peraltro l’Ucraina era in grave recessione economica da tanti anni, poiché era stata salvata due volte dal fallimento grazie all’intervento del Fondo Monetario. 

Su un altro aspetto l’autore non errava: le nazioni svedese e finlandese avevano già tempo prima partecipato alle grandi esercitazioni militari in Europa orientale: “Nella sua insaziabile bulimia la Nato si preparerebbe a inghiottire due Stati”, “tradizionalmente neutrali” e cioè i suddetti due Stati scandinavi che puntualmente sono entrati nel Patto Atlantico nel 2024. 

In tutto ciò lascia molto perplessi l’affermazione le “grandi piaghe della prima metà del Novecento – nazionalismo, militarismo, razzismo – si sono nuovamente aperte”, ma non si capisce cosa c’entri questo, un po’ meglio va la domanda a conclusione di testo: “la democrazia è ancora un modello virtuoso che l’Europa delle democrazie malate e gli Stati Uniti delle sciagurate avventure mediorientali e del nuovo razzismo hanno il diritto di proporre alla Russia? Dovremmo piuttosto chiederci se all’origine dell’autoritarismo di Putin non vi sia anche la pessima immagine che le democrazie stanno dando di se stesse?” e va bene ma che c’entra di nuovo il razzismo, il nuovo razzismo e roba simile? 

Che a forza ormai da anni, senza alcun senso, viene ficcato dappertutto ma per evidente incapacità di analizzare in modo corretto fatti, fenomeni e accadimenti di diversa tipologia.