giovedì 3 luglio 2025

A PIEDE LIBRO n. 85 - Il lato oscuro del PCI

A PIEDE LIBRO n. 85
Intima ed irregolare rubrica Libraria - Anno IV

IL LATO OSCURO DEL PCI 

Questo speciale di “Storia in Rete” rimarrà nel tempo, sia perché riassume alcuni risultati fin qui raggiunti in ambito storiografico, sia perché apre ad un campo di indagine che potenzialmente si dovrebbe basare su quella miniera di informazioni, tutte da scandagliare, rintracciabili negli archivi del Partito Comunista Italiano e di tante altre associazioni  (ANPI compresa); archivi che naturalmente risultano esser ancora oggi in buona parte inaccessibili. Per non parlare poi di quelli che si trovano in Russia, di quelli nei Paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica o di quelli che aderivano al Patto di Varsavia. 

I lati oscuri del PCI, partendo proprio da queste 130 pagine, provo a riassumerli in 10 punti, mettendo in evidenza le connotazioni a mio avviso più importanti:

1) Riguardo i metodi di epurazione interni al partito ci si può immaginare facilmente quali fossero, a farne le spese fu inizialmente Bordiga, che fu raggirato da Gramsci e Togliatti con modalità spicciole e ciniche per portare il partito al totale asservimento dell’Unione Sovietica. 

Togliatti in particolare nel 1937 bollò Bordiga “come una canaglia trotzkista, protetto dalla polizia e dai fascisti, odiato dagli operai come deve essere odiato un traditore”; già nel 1926, a Mosca, Bordiga aveva osato rivolgere una pericolosa domanda a Stalin: “pensa che lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del Partito russo è legato allo sviluppo del movimento proletario internazionale”? E il dittatore rispose: “Questa domanda non mi è stata mai rivolta. Non avrei mai creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di averlo fatto!”. 

Per una serie di combinazioni, inclusa probabilmente la ‘fortuna’ di esser entrato nelle carceri fasciste, Bordiga non fu eliminato fisicamente dai suoi stessi compagni, una ‘fortuna’ che di certo non tutti ebbero. 

Una sorte simile la fece un altro dirigente: Angelo Tasca, il quale non credeva che il Capitalismo fosse in dirittura di arrivo dopo la crisi del 1929 e che il fascismo implodesse per le sue incapacità in materia di politica economica; inoltre Tasca era fondamentalmente un riformista e credeva ad una rivoluzione semmai a lungo termine, in più dubitava delle competenze di Stalin per quel vasto piano mondiale di bolscevizzazione e diceva che la “Internazionale Comunista non esiste; Stalin è il maestro che muove tutto. Egli è all’altezza di una simile posizione?”. 

Ciò gli costò l’espulsione dal partito, voluta dal solito Togliatti agli ordini del Cremlino, il “Migliore” lo considerava come un piccolo intellettuale disfattista e opportunista. Tasca si salvò, quando vide la mal parata da Mosca si spostò a Parigi, quella fuga anche a lui  gli valse probabilmente la vita.       

Per altri compagni scomodi del PCI non si fecero scrupoli ad usare come strumento la delazione, il che voleva dire cadere in mano alla polizia segreta fascista e quindi esser tratti in arresto. 

Lo stesso Gramsci pagò il fio. Prima di cadere in mano alla polizia il 14 ottobre 1926, aveva indirizzato una lettera piuttosto critica a Togliatti che si trovava a Mosca. Contestava la violenta linea dura  staliniana, chiedeva indulgenza per quei capi sovietici protagonisti della Rivoluzione e che stavano cadendo in disgrazia e che negli anni successivi sarebbero stati tutti ammazzati, si appellava al rispetto dei principi del leninismo,  senza perder di vista gli obiettivi da inseguire in favore del proletariato internazionale. 

Qualcosa di strano accadde durante il suo lungo ricovero dovuto alle sue malattie. 

Va innanzitutto sfatata ogni leggenda di qualsivoglia maltrattamento nei suoi confronti. Gramsci aveva delle gravi patologie, quel che invece appare molto strano è che ogni volta in cui si ventilava un beneficio o una ipotetica amnistia, come nel 1933, i comunisti esiliati esponevano inutilmente il suo nome all’attenzione internazionale, tanto da congelare in questo modo gli eventuali provvedimenti a suo favore.

In effetti Gramsci aveva intuito che qualcosa di strano stava accadendo, tant’è che pregò la moglie e la cognata di non avvisare più su nulla i “compagni italiani”, eppure le notizie continuarono a filtrare e arrivavano a Mosca, probabilmente perché sia la moglie Julia Schucht che sua sorella Tatiana Schucht erano agenti del servizio segreto sovietico. 

Al “Migliore” Togliatti arrivarono anche i suoi scritti, che chiaramente furono ripuliti dalle parti più scomode per esser pubblicati nel dopoguerra da Einaudi. 

Sulla morte Gramsci, infine, son poi saltati fuori dei sospetti legati a un tentato rapimento o a un suicidio “attivo o passivo” - come disse l’ex comunista Massimo Caprara - avvenuto in clinica il giorno 27 aprile 1937.               

2) Durante il Ventennio, i comunisti italiani, al pari di quelli stranieri, fecero parte di un piano diversificato di delazione contro gli esuli antifascisti che erano fuggiti in Francia.

Assieme alle capacità degli agenti dell’OVRA, ciò comportò la neutralizzazione dell’antifascismo non comunista con sede a Parigi. Socialisti e giellini (membri di “Giustizia e Libertà” dei fratelli Rosselli) spesso venivano denigrati e accusati dai comunisti come social-fascisti, che di per sé era già una condanna che poteva essere letale; tutti vennero dossierati e attentamente seguiti nelle loro attività, gli infiltrati naturalmente oltre ad una attività di spionaggio cercavano di convincere i profughi politici ad entrare nel movimento comunista. 

Tra le talpe più note va ricordato Giorgio Amendola.

3) Mentre i comunisti italiani professavano la solidarietà e la pace tra i popoli, appoggiavano il militarismo sovietico e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si prepararono a conquistare l’Italia con le armi. 

Il progetto venne meno per i motivi che si vedranno tra poco, in ogni caso quel che sappiamo, ad ora, lo dobbiamo anche grazie alla Commissione Mitrokhin e ai purtroppo però parziali risultati ottenuti sulle intrusioni spionistiche del KGB in Italia e sui relativi collaboratori del servizio segreto russo. 

4) Le gravi responsabilità di Togliatti, emerse alla spicciolata nei decenni, son saltate fuori anche rispetto ai soldati italiani deceduti e maltrattati nei gulag. 

Al compagno Vincenzo Bianco, che chiedeva di intervenire per migliorare le condizioni di prigionia dei propri connazionali, il “compagno Ercoli” - ossia sempre Togliatti - rispose nel febbraio ‘43 che grazie a quelle “dure condizioni” si “costituirà il migliore e più efficace degli antidoti”, la “nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso la Unione Sovietica è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. 

Nella pratica però se un buon numero di prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto […] non ci trovo assolutamente niente da dire […] Il fatto è che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti” e “tanto meglio sarà per l’avvenire d’Italia” poiché si sarebbe affermata “la convinzione” che una “aggressione contro altri paesi” era sempre da condannare. 

Vincenzo Bianco non rimase per nulla soddisfatto della risposta, sapeva di quel che parlava, anche perché aveva visto coi suoi occhi quel che accadeva; prese carta e penna e, rischiando non poco, scrisse a G. M. Dimitrov, Segretario Generale del Comintern, con l’intento di far arrivare le richieste di soccorso ai prigionieri italiani al Generale Petrov, responsabile dei campi di concentramento. 

Purtroppo, come si sa, le cose non cambiarono molto.  Dei 70.000 soldati italiani del’ARMIR imprigionati in 60.000 morirono nei gulag.   

5)  La Resistenza, tramite la guerra civile voluta dal PCI, aveva un fine ultimo non ufficialmente dichiarato, quello della conquista del potere e quello della sovietizzazione della Nazione.

La famigerata “Volante Rossa”, l’organizzazione criminale che si mosse in Lombardia per uccidere i potenziali nemici fino al 1947, fu uno dei tanti strumenti di morte messi in pratica per falcidiare i potenziali nemici, che spesso invece non erano altro che semplici persone senza particolari poteri.   

6) Tutte le decisioni prese dal PCI in realtà dipesero dai diktat di Mosca, quindi la “svolta di Salerno”, ovverosia l’accordo con Badoglio, la Monarchia e perciò con gli Alleati, il compromesso con le forze democratiche e con il governo De Gasperi, la mancata rivoluzione dopo la sconfitta elettorale del 1948 e dopo l’attentato a Togliatti nello stesso anno, furono le risultanti di quel che ordinò Stalin prima e gli altri dopo che gli succedettero al Cremlino; infatti nel dopoguerra l’insuccesso dei comunisti in Grecia, in quella che fu una vera e propria guerra civile, e la spaccatura creatasi con Tito avevano frenato le mire espansionistiche dell’URSS in Occidente. Perciò, nell’incertezza di una vittoria politica e/o militare, si preferì un Partito Comunista Italiano “quinta colonna” in attesa di periodi più adatti per la presa del potere. 

7) Sin dalla salita al potere,  i bolscevichi dedicarono una particolare attenzione all’Italia per una nuova rivoluzione. I flussi di denari ai socialisti prima e ai comunisti poi andarono aumentando e proseguirono fino alla caduta dell’Unione Sovietica, chiaramente il tutto avveniva tramite canali non legali, come altrettanto chiaramente nessuno rispose di questi illeciti su larga scala di questo e di altri tipi. 

8) Al di là dell’anti-colonialismo di facciata, a Seconda Guerra Mondiale terminata, il PCI  si fece promotore presso le istituzioni internazionali della concessione di una serie di mandati a favore dell’Italia per le ex colonie libiche ed etiopiche, con il netto intento di farle cadere sotto l’influenza sovietica. 

Togliatti propose la cessione di Trieste e Gorizia alla Jugoslavia in cambio del controllo della Libia e dell’Eritrea, una iniziativa voluta dall’URSS stessa. 

Naturalmente nei decenni i comunisti italiani cercarono di far cancellare quel loro tradimento anti-italiano, cominciando da quella compromettente lettera datata 19 ottobre 1944, in cui sempre Togliatti diceva al compagno Bianco che “la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito” fosse “un fatto positivo”. 

Ciò non era certo dovuto soltanto alle contingenze militari anche perché, già nel 1926, i comunisti italiani si erano schierati a favore delle istanze slave a danno dell’Italia. Nell’ottobre 1944 inoltre i comunisti italiani si sottoposero al comando dello schieramento titino, con tutto quel che ne conseguì e che si conosce riguardo all’esodo e all’eccidio degli italiani tra la Dalmazia e il Friuli-Venezia Giulia, compresa la liquidazione di alcuni partigiani non comunisti e di altri comunisti non graditi o non del tutto allineati.

9)  I doppi pesi e le doppie morali del PCI rimangono un emblema del comunismo italiano e di quello internazionale. L’abolizione della proprietà privata e l’anticapitalismo costituivano i principi politici fondanti; all’atto pratico, invece, in Italia come altrove, il Partito Comunista aveva tessuto una gigante e fitta rete di cooperative e di società commerciali import – export, che si occupavano di tutto e di più. Si pensi ai legami con la Fiat, con Finmeccanica, con Pirelli, con Montedison e con tanti altri industriali in Italia e fuori dall’Italia. 

Il PCI in alcuni settori si potrebbe dire che aveva acquisito un regime di monopolio, specialmente per quel concerne i rapporti e gli scambi con i Paesi dell’est europeo e con l’URSS, ogni operazione naturalmente generava una commissione che entrava nelle casse del partito che controllava perfino una grande assicurazione nazionale, la UNIPOL; il tutto alla faccia della cancellazione dei profitti che al contrario se ne fecero così tanti, tanto da raggiungere cifre da capogiro, tuttora impossibili da decifrare se si conta anche il cosiddetto “Oro di Dongo”, trafugato parzialmente nei giorni della “Liberazione” e che ancora oggi non sappiamo di preciso dove sia andato a finire. 

Lo status quo, e quindi l’uso e lo sfruttamento del sistema capitalistico a proprio vantaggio, in tante occasioni, sfatava quella sbandierata e finta opposizione alle liberal-capitalistimo. Le montagne di denari attualmente presenti in chissà quali fondi, società, casseforti e chissà da quali mani gestite, andrebbero scovate, indagate se non requisite in alcuni casi, ci vorrebbero una serie di inchieste, lunghe anni, per cercare di capire dove si trovano tutti quei soldi e come sono stati utilizzati e come lo sono tuttora; inchieste che tardano gravemente ad arrivare dopo così troppi anni.                  

10) Il caso Berlinguer: “santificato” al momento della sua morte, tant’è che oggi viene sempre considerato un intoccabile e un incriticabile esempio politico, fu il segretario della tanto acclamata “questione morale”, auto-escludendo però se stesso, i compagni e il partito e tutte le magagne, gli illeciti, le trame che avevano riguardato lui e i suoi e che non coinvolsero nessuno di loro neppure nell’era Tangentopoli, quando è più che ovvio che di mani non pulite ne avevano eccome. 

Che poi di questione morale a suo tempo aveva già parlato un certo Mazzini, un altro nome gravemente dimenticato o quasi dalla stragrande maggioranza degli storici e dalle Istituzioni, oltre che dai partiti.
Berlinguer fu uno dei promotori dell’Euro-Comunismo, un progetto di fatto ambizioso quanto illusorio e fumoso. 

Si dovette barcamenare tra una tentata autonomia e una fattuale e solita dipendenza dall’URSS, il che voleva dire sventolare davanti a tutti una parvenza libertaria ma al contempo mantenere i lauti e imprescindibili finanziamenti provenienti da Mosca - si contano 500 milioni di dollari dal 1960 al 1990 – e sottostare sempre agli ordini tutto sommato ben accetti del Cremlino. 

La svolta filo-Nato e quella del compromesso storico con la DC furono lo stesso autorizzate dai sovietici; la tattica era sempre quella entrista, quella di far penetrare i comunisti nelle altre stanze del potere e parallelamente quella di conservare altri spazi di azione e di ambiguità pure verso il terrorismo internazionale di matrice rossa e i servizi segreti sovietici e filo - sovietici. 

Il che però non era del tutto malvisto dagli americani, i quali - almeno alcuni di loro - pensavano che coinvolgere i ‘compagni’ al governo avrebbe potuto significare sottrarre altri ‘comunisti’ alle grinfie dell’URSS, come in parte e per altri versi era accaduto con la Jugoslavia, la Cina e stava accadendo pure per la Romania. 

Per quel che mi riguarda sono meno drastico dei 3 autori degli altrettanti pezzi dedicati proprio a Berlinguer; quest’ultimo a mio avviso tentò per davvero di allentare la presa di Mosca sul PCI, quel che appare impossibile è che ciò potesse riuscirgli visti gli innumerevoli vincoli esistenti con i conseguenti vantaggi per i comunisti italiani dei quali si è accennato. 

È pur vero però che Berlinguer stava facendo il doppio gioco, tentava quella che poi risultò essere l’ultima carta per la scalata al potere. 

Dopodiché il crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e il Segretario Occhetto già il 12 successivo era pronto ad un forte mutamento di immagine, di programmi, di simboli che ufficialmente si affermarono nel febbraio 1991, con la fondazione del PDS che andò sostituendo definitivamente il PCI.

Proseguiva per certi versi l’ambivalente progetto di Berlinguer, solo che l’URSS sarebbe caduta soltanto nel dicembre 1991 e in effetti una serie di documenti dei servizi segreti venuti alla luce ci dicono che anche questa trasformazione era avvenuta sin da subito quel 9 novembre 1989, sotto la supervisione dei sovietici e grazie al loro consenso. Era un modo come un altro per salvare il salvabile, stavano affiorando testimonianze e carte che potevano compromettere tutto e tanti.

Era l’inizio di una serie corposa di trasformismi politici che sono arrivati fino ad oggi, il fine era sempre quello di salvare se stessi, quel che era stato accumulato anche e direi soprattutto in beni materiali, e quella storia comunista spesso ingannevole come i principi sui quali si ergeva, e che erano stati inculcati alle masse con una insistenza e una propaganda scientifiche.  

Gli storici coinvolti in questo numero di “Storia in Rete” sono un po’ coloro che, negli anni, hanno cercato di abbattere il gigantesco muro di omertà: Aldo Ricci, Luca Di Bella, Aldo Mola, Roberto Festorazzi, Francesco Bigazzi, Pierluca Pucci Poppi, Dario Ferilio, Emanuele Mastrangelo, Giuseppe Pardini, Charles Levinson, Fabio Andriola, Giampaolo Pansa.

Questo speciale non ha certo un carattere esaustivo, attendo ulteriori uscite in proposito oltre che ricerche a tutto campo a livello storico e quindi editoriale. Se ne ha un gran bisogno più che mai.  

BIBLIOGRAFIA

R. Festorazzi – Il libro nero del comunismo italiano
F. Bigazzi, D. Fertilio – Fabbricare le menzogne
C. Levinson – Vodka-Cola
S. Sechi – L’apparato para-militare del PCI e lo spionaggio del KGB sulle nostre imprese
F. Bigazzi, D. Fertilio – Berlinguer e il diavolo

ai suddetti titoli citati in questo numero, che comunque solo in parte completano il quadro storico, aggiungo il notevole e recente F. Bigazzi – “Il libro nero degli italiani nei gulag”.
 
Invece su Gramsci e su quello che subì a causa dei compagni ci tornerò su a breve, grazie alla condivisione di una conferenza tra storici di sinistra.