“La guida ci addita uno strano paese di caverne trogloditiche nel quale abitavano anticamente i famosi gancios della Canarie, autoctoni di pelle bianca e di alta statura trovati nell’isola dai primi esploratori. Chi erano e donde venivano? La scienza non si è ancora pronunciata con sicurezza. Come mai erano bianchi gli antichi abitanti dell’isola se l’arcipelago appartiene geograficamente all’Africa e l’emigrazione bianca non sorpassò mai a memoria di uomo le colonne di Ercole? Chi erano questi gancios misteriosi che vivevano ancora sei secoli fa e che poi sono stati pian piano assorbiti dall’immigrazione spagnuola? Erano forse i diretti e puri discendenti di quegli antichi egiziani che secondo Erodoto partiron dal Mar Rosso per fare il giro dell’Africa e finirono dopo due anni di navigazione, nelle Canarie dove si fermarono disperando ormai di poter ritrovare la loro patria? Oppure discendevano da quegli altri intrepidi navigatori cartaginesi che secondo Polibio partirono su sessanta navi al comando di Hammon per violare i misteri dell’Atlantico? […] I gancios delle Canarie sarebbero stati i soli superstiti del formidabile cataclisma nel quale si inabissò tutta una parte del mondo insieme con le conquiste di cento e cento generazioni?” […] Finora le caverne non hanno dato alla luce nessun vestigio architettonico di quel gran mondo scomparso, ma ciò potrebbe esser spiegato dal fatto che le isole attuali erano le altissime vette inabitate delle maggiori montagne. Manca qualsiasi documento. Perciò la scienza lascia il campo ai poeti i quali sognano e talvolta indovinano gli enigmi dell’universo”.
Mario Appelius, “Nel paese degli uomini nudi” (1928)
(sotto una cartina che riprende le teorie dell’atlantologo Ignatius Donnelly: in rosso Atlantide, in rosa le terre ora sommerse nell’Atlantico e che una volta univano Atlantide agli altri continenti, sempre in rosa i territori dove la civiltà atlantidea avrebbe attecchito)