Intima ed irregolare rubrica libraria
(seconda parte)
PER I LEGIONARI. GUARDIA DI FERRO
I 5 “elementi cardinali” del legionario erano:
1) “fede in Dio. Credevamo tutti in Dio; non c’erano atei in mezzo a noi”;
2) “fede nella nostra missione”;
3) “amore reciproco” e il sentirsi parte di una “famiglia”, al “legionario non si richiedeva tanto disciplina da caserma, quanto lealtà, fedeltà, abnegazione, laboriosità”;
4) il “canto” espressione di una “armonia interiore”, “se la vostra anima non vuole più cantare, allora siete persi per noi”;
5) “l’eroismo. Senza l’eroismo l’uomo risulta incompleto”.
Su Pamântul Stramosesc (La Terra degli Avi), il periodico della Legione, il 15 agosto 1927 si fissarono le norme dell’etica Legionaria:
1) “purezza spirituale”;
2) “disinteresse nella lotta”;
3) “tensione interiore”;
4) “fede, lavoro, ordine, gerarchia, disciplina”;
5) “la Legione promuoverà l’energia e le forze morali della Stirpe”;
6) “giustizia”;
7) “azione. Fatti, non parole! Non parlare! Agisci!”, “al termine della scuole legionaria sorgerà una Romania nuova. Sarà la tanto attesa risurrezione della Stirpe romena, meta di tutti gli sforzi, i dolori, i sacrifici che compiamo”.
Su ‘Cǎrticica şefului de Cuib’ del 1933 (letteralmente: il libro del Capo del Nido), sapendo che il Cuib era l’unità di base dell’intero movimento, Codreanu tracciò le “sei leggi fondamentali di comportamento” che il Legionario avrebbe dovuto tenere:
1) “La Legge della disciplina: sii legionario disciplinato, perché solo in questo modo sarai vittorioso. Segui il tuo capo nella buona e nella cattiva fortuna”;
2) “La legge del lavoro: lavora. Lavora ogni giorno. Lavora con amore. Ricompensa del lavoro ti sia non il guadagno, ma la soddisfazione di aver posto un mattone per edificare la Legione e per il fiorire della Romania;
3) “La legge del silenzio: parla poco. Parla quando occorre. Parla quanto occorre. La tua eloquenza sia l’eloquenza dei fatti. Tu opera; lascia che siano gli altri a parlare”;
4) “La legge dell’educazione: devi diventare un altro. Un eroe. La tua scuola, compila tutta nel cuib. Conosci bene la Legione”;
5) “La legge dell’aiuto reciproco: aiuta il tuo fratello a cui è successa una disgrazia. Non abbandonarlo”;
6) La legge dell’onore: percorri soltanto le vie tracciate dall’onore. Lotta e non essere mai vile. Lascia agli altri le vie dell’infamia. Piuttosto di vincere per mezzo di un’infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell’onore”.
Ovviamente lo stesso vademecum fissava la “preghiera come elemento decisivo della vittoria. L’appello agli antenati”.
Ma c’era di più all’atto pratico, il Capitano diceva: “mi proponevo di sviluppare nei giovani legionari in primo luogo la volontà: con lunghe marce, compiute sotto pesanti fardelli, sotto la pioggia, al vento, col caldo torrido o nel fango, ben allineati e a passo cadenzato, proibendo loro di parlare per ore intere; con una vita aspra, dormendo nei boschi e mangiando sobriamente; con l’obbligo di essere severi con sé stessi sotto tutti gli aspetti, a partire dal comportamento e dai gesti; indicando ostacoli da superare, scalando rocce alte e pericolose, attraversando corsi d’acqua profondi e impetuosi. Intendevo far di loro degli uomini volitivi che guardassero diritto e si comportassero virilmente di fronte a qualsiasi difficoltà. Perciò non avrei mai consentito a loro di aggirare, ma solo di superare, l’ostacolo. Al posto dell’uomo debole e insicuro che continua a piegarsi a ogni soffio di vento, dell’uomo che predomina in virtù del numero, in politica come nelle altre occupazioni, dovevamo creare per questa Stirpe un militante eroico, un vincitore, tenace e inflessibile. In secondo luogo, mediante l’educazione di gruppo mi proponevo di sviluppare lo spirito di corpo, di favorire il senso di comunità. Occorreva destare e irrobustire lo spirito di solidarietà. Osservavo come l’educazione di gruppo esercitasse notevole influenza sulla disposizione dell’intelletto e dell’anima di un uomo, dando ordine e ritmo alla sua intelligenza e ai suoi istinti disordinati. Infliggendo punizioni volevo infine sviluppare il senso della responsabilità, il coraggio di assumere ciascuno la responsabilità delle proprie azioni – perché niente riesce più disgustoso d’un uomo che mente e rifugge dalle responsabilità […] nel mondo legionario la punizione non può far nascere risentimento, giacché tutti quanti siamo soggetti a sbagliare”, in fondo la punizione è “la possibilità di riparare, mediante il bene compiuto, al male commesso. Per questo il legionario accetterà sempre e subirà serenamente una punizione”.
Tuttavia l’azione per prima, poiché il “Paese va in rovina per mancanza di uomini, non per mancanza di programmi”, ebrei e politicanti difatti avevano “deformato” e “sfigurato la nostra struttura di razza daco-romana”, “Per questo la pietra angolare su cui poggia la Legione è l’uomo, non il programma politico: il rinnovamento dell’uomo, non la riforma di un programma politico. Di conseguenza, la ‘Legione Arcangelo Michele’ sarà una scuola e un esercito più che un partito politico”. “Dalla scuola legionaria uscirà un uomo nuovo, un uomo con le qualità dell’eroe, un gigante che si erga in mezzo alla nostra storia, che sappia combattere e vincere tutti i nemici della Stirpe” e con “tutte le qualità di grandezza umana seminate da Dio nel sangue della nostra Stirpe”, “Susciteremo un’atmosfera spirituale, un ambiente morale in cui nasca e di cui si nutra e cresca l’uomo eroe. Quest’ambiente dovremo isolarlo dal resto del mondo”.
In sostanza la “Legione è uno stato spirituale, un’unità di sentire e di vivere a cui contribuiamo tutti. Membri, capi, numero d’iscritti, uniformi, programma etc. costituiscono la Legione visibile; l’altra, la più importante, è la Legione invisibile. Priva della Legione invisibile, ovvero di quello stato spirituale, di vita, la Legione visibile non significherebbe niente. Rimarrebbero solo forme prive di qualsiasi contenuto […] La Legione dunque ‘in interiore’, in quello stato spirituale a noi invisibile ma da noi percepito, non sono stato io a formarla. Essa è il risultato di una cooperazione. Essa è nata dalla fusione dei seguenti elementi:
1) il contributo della nostra sensibilità;
2) il contributo della sensibilità corrispondente degli altri Romeni;
3) la presenza, nella coscienza di tutti noi, dei morti per la Stirpe;
4) la chiamata della Terra dei padri;
5) la benedizione di Dio”, “A questo punto il capo, non è più un ‘padrone’, un ‘dittatore’, che fa ‘ciò che vuole’ e governa secondo il proprio ‘arbitrio’: egli diventa l’espressione, l’incarnazione di questo stato spirituale invisibile, il simbolo di questa condizione d’illuminazione che regge l’intera comunità nazionale. E quindi il capo non fa quello che vuole, fa quello che deve”, d’altra parte le “guerre sono vinte da coloro che hanno saputo attrarre dai cieli le forze misteriose del mondo invisibile e assicurarsi il concorso di queste forze”.
Il conflitto, armato e non armato, portato avanti assunse così caratteri ascetici: “pensammo di ritirarci sui monti, là dove i Romeni avevano sostenuto le loro lotte contro tutte le invasioni nemiche. I monti sono molto legati a noi, alla nostra vita; essi ci conoscono. Anziché consumare il corpo ed esaurire il sangue in tetre prigioni, meglio finire la vita morendo tutti quanti sui monti per la nostra fede. Respingevamo dunque l’umiliazione di rivederci in catene. Dai monti avremmo attaccato tutti i vespai ebraici. Lassù avremmo difeso dallo sterminio la vita degli alberi e dei monti; giù, in pianura, avremmo sparso morte e fatto giustizia. Ci avrebbero cercato per ucciderci e noi saremmo fuggiti per nasconderci. Avremmo combattuto e alla fine saremmo stati vinti, noi pochi, inseguiti da battaglioni e reggimenti romeni. Allora avremmo accettato la morte: sarebbe corso sangue nostro, il sangue di tutti. E sarebbe stato questo il grande discorso, l’ultimo da noi rivolto al popolo romeno […] la nostra morte sarebbe forse riuscita più utile alla Stirpe degli sforzi vani di tutta la nostra vita. Ma nemmeno i politicanti sarebbero rimasti impuniti dopo averci ucciso. Nelle nostre file altri rimanevano, e costoro ci avrebbero dimenticato. Non potendo vincere vivendo, avremmo vinto morendo. Vivevamo dunque con il pensiero e la determinazione della morte. Per tutte le circostanze avevamo la certezza assoluta della vittoria. Essa ci dava serenità, ci dava forza, ci permetteva di sorridere di fronte a qualsiasi nemico e a qualsiasi tentativo di distruggerci”.
Non andò del tutto così, i Legionari rimasero a valle e rischiarono tutti i giorni la loro vita laddove erano sempre stati.
Il nemico non era solo l’ebreo, i rabbini locali che avevano messo in crisi il povero romeno, lo erano ancor prima coloro che venivano considerati dei traditori, cioè quei rumeni che avevano vilipeso e venduto la propria gente. Da qui scattarono una serie di attentati contro alcuni di quei traditori e poi il carcere durissimo, anche se non mancarono le generose assoluzioni, ma la persecuzione delle forze di polizia si fece sempre più intensa e su decisione dei governi che si succedettero si arrestava senza mandato, si malmenava, si provocava, si seviziava e si uccideva i Legionari ininterrottamente.
Nei numerosi spostamenti previsti per fare proselitismo, il Capitano chiese ai suoi: “Ordine perfetto durante tutto il viaggio. In caso di provocazioni vi è proibito reagire. L’obiettivo è uno solo: giungere a destinazione! Desidero che tutte le località che attraverserete, villaggi o città, restino impressionate dalla disciplina, compostezza, contegno dignitoso ed educato dimostrato in qualsiasi circostanza dai Legionari”; in ogni caso di fronte alle persecuzioni, reazioni ce ne furono ed anche molto violente.
La Legione però rispettava imperturbabile un principio ritenuto basilare: “Quando tutto tende a disgregarsi, l’anima dell’uomo si volge in senso opposto, parte a un contrattacco che si manifesta nell’ardente desiderio di ricostruire dalle fondamenta, d’innalzare col lavoro, di edificare”.
Domenica la terza ed ultima parte
Prima parte: https://flaviocostantino.blogspot.com/2025/05/a-piede-libro-n-143-per-i-legionari_14.html