“La valigia di Mussolini” è il primo libro, ma
pure l'ultimo ad oggi, sempre se non erro, che tratti nello specifico di
quei documenti che Mussolini si portò con sé fino al momento della sua
cattura.
Davanti al
sottotitolo “i documenti segreti dell'ultima fuga del duce”, verrebbe
spontaneo chiedersi subito: ma perché di fughe ce ne furono altre?
Altri
dubbi vengon fuori leggendo la bandella: “Ma al partigiano che nel
municipio di Dongo gli contesterà l'assassinio Matteotti e le
persecuzioni contro gli operai, egli rivolgerà uno sguardo smarrito,
senza saper più rispondere” e la stessa frase la ritroviamo al termine
di questo saggio; naturalmente questa era, ed è tuttora, una di quelle
affermazioni ad effetto che fanno un po' comodo alla vulgata storica,
facilmente però smontabile perché di quali “persecuzioni contro gli
operai” si parla nel particolare? Possibile per davvero che Mussolini
tacque in quelle circostanze per tanti motivi, ma che rimasse
addirittura smarrito davanti all'accusa rivoltagli sul caso Matteotti la
cosa appare alquanto improbabile, dato che su quel crimine, soprattutto
durante il periodo della RSI, aveva accumulato documenti su documenti
che, secondo lui, provavano l'esistenza di una pista internazionale
composta da una serie di potentati, i quali avevano avuto come obiettivo
quello di incastrarlo nel 1924, usando il cadavere del parlamentare
socialista, fatto fuori da loro appositamente.
Detto
ciò l'autore di questa ricerca ha uno di quei nomi di peso poiché,
all'epoca della pubblicazione, ossia nel 1982, era dirigente
dell'Archivio Centrale di Stato e si occupava proprio degli archivi del
fascismo, eppure qualcosa, anzi diverse cose sembrano non tornare: tanto
per cominciare si può escludere con certezza, come fa in pratica
Gaetano Contini, che gli unici documenti reperiti siano quelli resi
ufficiali quando sappiamo invece che tanti di quei fogli passarono da
diverse mani?
Si escluda
pure il fantomatico carteggio Churchill – Mussolini, ma è altrettanto
giusto non ipotizzare che ci sia stato un qualcosa di simile o qualche
non improbabile contatto visto che predisposizioni ci furono eccome in
tal senso?
La tesi di
Contini, quella di un Mussolini che portava con sé una borsa di cuoio
piena zeppa di carte per giustificare solo se stesso e il fascismo,
convinto che dalla Svizzera, dove avrebbe voluto mettersi al riparo
secondo lo storico (ma anche qui di certezze invece non ce ne sono
affatto), avrebbe pianificato la sua difesa politico – storica
internazionale, sembra proprio che faccia acqua da molte parti. In gioco
a quel punto ci stava l'Italia e la sua salvezza davanti alla
catastrofe; quello che in tutta evidenza manca sono tutte le prove
possibili ed inimmaginabili accumulate in più di 20 anni di Regime
contro chi aveva voluto il nostro Paese al servizio di qualcun altro o
di qualcos'altro, una nazione ostacolata in tutti i campi da chi
deteneva il potere in buona parte del globo.
Sembra
dunque persino superfluo ribadirlo ma ogni tanto è giusto ricordarlo
viste le diffuse quanto calcolate reticenze, che quella del Duce fu una
battaglia personale che diventò nazionale e che condusse specialmente e
rovinosamente contro quell'imperialismo democratico inglese che
spadroneggiava ovunque, perfino davanti alle nostre porte di casa: nel
Mediterraneo.
E allora è
plausibile che non si sia trovato uno straccio di prova, una delle
moltissime che potevano essere state archiviate in quei 2 decenni? No!
Contini è stato un ottimo burocrate, sarà stato uno speciale dirigente e
archivista, ma lo storico probabilmente, sul piatto della bilancia,
alla storia già scritta deve esser in grado di contrapporre i leciti
dubbi e tutte le lacune del caso e qua ce ne sono a dismisura.
Qui,
quindi, quello che appare carente è l'approccio di per sé, il metodo
utilizzato, anche se sicuramente quella dell'autore rimane nei fatti una
operazione notevole pure perché, appunto, per la prima volta rese
pubblici una serie di documentazioni lo stesso importanti.
C'è
insomma il grande rammarico che uno straordinario indagatore come Renzo
De Felice non sia arrivato in tempo a trattare questo argomento e più
in generale quello della morte del Duce, probabilmente tra i più
difficili da studiare per quel che attiene tutto il Novecento, in quanto
ancora troppi vuoti sembra proprio che debbano esser colmati, vista la
contraddittorietà degli eventi, delle testimonianze e di quel che
sappiamo che non sembra esser poi molto e che di sicuro non è abbastanza
almeno per chi non vuole accontentarsi delle pagine già scritte e fin
troppo ordinate.
A meno
che non sia andato appositamente distrutto ci sta ancora molto da
scoprire in qualche grigio scaffale di qualche stanza di partito,
istituzionale o perfino massonico.
L'archivio
personale del Duce cadde in mano chiaramente a Badoglio dopo il 25
luglio 1943, tornò al suo proprietario dopo la fuga del Re, ma nel
frattempo era stato opportunamente alleggerito proprio dai fascicoli
riguardanti la famiglia reale. Altri faldoni andarono perduti, alcuni
furono distrutti, una buona parte rimasero a Roma e caddero in mano agli
Alleati, in diversi “c'erano le prove di quanto il Governo repubblicano
aveva fatto per evitare la guerra civile e la totale manomissione
tedesca sull'Italia non invasa dal nemico; le prove del malvolere
inglese che aveva condotto alla guerra; le informazioni segrete sui
massacri predisposti dai comunisti” disse in seguito Carlo Silvestri,
vecchio socialista e il più grande accusatore di Mussolini dopo il
delitto Matteotti ma che si avvicinò al Duce durante la RSI
convincendosi, dopo aver visionato le carte passategli proprio da
Mussolini, che nel 1924 era in realtà accaduto qualcosa di diverso da
quel che si raccontava e si voleva credere.
Silvestri,
poi fortemente screditato dall'antifascismo nel dopoguerra, fu uno di
coloro che aiutò il capo della Repubblica Sociale ad ordinare
quell'ultima documentazione, parte della quale andò a finire in quella
famosa valigia.
In quegli
ultimi trafelati giorni dell'aprile '45 una cassa di zinco, dove erano
stati depositati i documenti, rimase alla Prefettura di Milano,
probabilmente per errore, l'altra andò perduta quando uno dei camioncini
della colonna dei fascisti andò in panne e si fermò per strada.
Non rimaneva così molto, ma quel che era più importante lo teneva con sé il Duce.
Al
partigiano Urbano Lazzaro, detto Bill, Mussolini, una volta arrestato e
privato della sua borsa, disse: “vi sono documenti molto importanti per
il domani dell'Italia […] Guardi che i documenti, che vi sono lì
dentro, sono segreti. L'avverto che hanno un'importanza grandissima”.
Suona
tutto un po' strano quando si viene a sapere che in quella borsa vi
erano alcuni appunti e i pro – memoria sull'eventuale spostamento dei
gerarchi e del governo repubblicano nella Germania meridionale, lo
stesso vale per quelle poche carte su quello che Contini chiama il
“bluff” del Ridotto valtellinese, anche un articolo di giornale con
stampato il discorso di Mussolini del 1° dicembre 1921 e la lettera di
dimissioni del presidente del gruppo parlamentare fascista del 1922,
forse con l'intento di dimostrare che fu il fascismo a salvare l'Italia
dalle sommosse comuniste?
Così la pensa Contini ma le perplessità non svaniscono.
Molto
più consistente era la cartella che conteneva i verbali e quant'altro
del biennio 1924-1925 in relazione al movimento antifascista 'Amici del
popolo' e relativi collaboratori – tra i quali vi si ritrovavano gli
eredi Garibaldi e il deputato Tito Zaniboni oltre che altri e strani
personaggi - ai diversi attentati che Mussolini subì e alla
inestricabile rete delle Massonerie che compariva in un modo o
nell'altro dietro ogni congiura. A proposito di logge massoniche vi
erano presenti anche alcune cartelle di affiliati, vi erano pure quelle
inerenti a protagonisti di spicco del fascismo, tra gli altri Balbo e
Farinacci.
In questo caso
il Duce voleva dimostrare che il Paese era sotto attacco di alcune
consorterie italiane ed estere poiché si stava tentando di alzare la
testa come prima non si era fatto mai in Italia.
Un
gruppetto di fogli riguardava poi i sovversivi comunisti presenti
nell'area triestina e dalmata mentre i rapporti con la Chiesa si
riducono ad un solo rapporto scaturito da un incontro tra il Duce e il
Papa avvenuto l'11 febbraio 1932, dal quale si evince una apparente
concordia tra Regime e Vaticano, dopo che i rapporti si erano molto
incrinati tra PNF e Azione Cattolica, successivamente alla
sottoscrizione dei Patti Lateranensi.
Tra
le altre cose Papa Pio XI disse: “vi è un triangolo dolente che aumenta
il nostro dolore: il Messico, Paese infeudato totalmente alla
massoneria; la Spagna dove lavorano massoneria e bolscevichi; e la
Russia che procede nella sua opera di scristianizzazione di quel popolo.
Ho ricevuto proprio in questi giorni il 39° volume della biblioteca
anti-religiosa russa. Sotto c'è anche l'avversione anticristiana del
giudaismo. Quando io ero a Varsavia, vidi che in tutti i reggimenti
bolscevichi, il commissario civile o la commissaria erano ebrei”.
La
parte più grande della documentazione era rappresentata dalle carte
sulla guerra, una vera “chiamata al correo di tutto lo Stato” (cit.
Contini) che quel conflitto lo accettò, lo fece suo e spinse per
entrarvi non appena possibile.
Il
Duce per la riunione del Gran consiglio del fascismo scrisse
espressamente il 4 febbraio 1939: “gli Stati sono più o meno
indipendenti a seconda della loro posizione marittima”. Iniziava quella
che fu chiamata la “marcia all'Oceano” ma prima si doveva passare per
forza di cose alla italianizzazione di Gibuti, della Corsica, di Nizza,
di Malta, della Tunisia, al controllo di Suez e di Gibilterra “per
rompere in primo luogo le sbarre della prigione”, non si doveva pensare
alla Savoia che era geograficamente fuori portata ma vista la precarietà
dell'assetto internazionale un pensierino lo si poteva fare per il
Ticino.
Da tempo i
rapporti con la Francia si erano deteriorati e la possibilità di uno
scontro anche armato, mano a mano, si era fatta avanti e questo apriva
il campo a delle prospettive politiche più vaste.
Presente
anche il verbale degli Stati maggiori dell'Esercito del 18 novembre
1939, stilato per riunione dove saltarono fuori non poche deficienze
militari. Il Generale Ubaldo Soddu parlò di assenza di “preparazione e
robustezza dei quadri” e Mussolini aveva già lamentato che “troppo
spesso viene dato per fatto quel che sovente avrebbe dovuto essere
fatto”. Ma il quadro generale era piuttosto sconfortante, le derrate di
benzina scarseggiavano, gli armamenti erano vetusti e insufficienti, la
carenze riguardavano un po' tutto: il vestiario, le munizioni, gli
pneumatici, i magazzini.
Badoglio
accusava certi ufficiali di essere più dei “politicanti” che dei
militari e diceva che in caso di guerra “pensare, prima di ogni altro
fatto, a chiudere le porte di casa a est e ad ovest”, che bisognava
individuare piccoli obiettivi e muoversi solo quando si avevano
“situazioni favorevoli”, tuttavia in base all'“obiettivo di giungere a
un equipaggiamento e un armamento sufficiente non si dovrebbe
intervenire nella guerra prima del 1942”, nonostante ciò davanti ai vari
generali che chiedevano armi e formazione dei militari Badoglio rispose
in modo sorprendente: “quando si è poveri si può trovare conforto nel
distribuire qualche cosa anche agli altri […] noi non possiamo
trincerarci dietro un programma che è irraggiungibile”.
Soltanto 4 sono i documenti sull'inizio della seconda Guerra Mondiale:
1)
un telegramma del 25 agosto 1939 all'ambasciatore italiano a Berlino,
Bernardo Attolico, tramite il quale Mussolini comunicava il sostegno
italiano, politico e economico ma non bellico alla Germania che stava
per attaccare la Polonia, testo con cui confermava il piano di riarmo ma
ricordava che l'impegno militare non poteva non essere che conseguente
“ai mezzi bellici e materie prime che la Germania porrò a nostra
disposizione”;
2) doveva
essere “puramente dimostrativo” l'atteggiamento italiano davanti ai
fatti polacchi diceva Mussolini al Re in un telegramma senza data;
3)
16 settembre 1939 sempre il Duce a Vittorio Emanuele III comunicava che
in Polonia stava per intervenire l'esercito sovietico e che la cosa si
sarebbe conclusa a breve, con la speranza che il nuovo assetto avrebbe
aperto delle “possibilità di negoziati diplomatici” con Francia ed
Inghilterra;
4) con
l'ultimo documento del 30 settembre 1939 si prendeva atto che gli
inglesi avrebbero proseguito le ostilità, che alcuni francesi però
iniziavano a creare un fronte interno per la pace, che i tedeschi non
avrebbero attaccato il fronte occidentale e che l'Italia stava tentando
la costituzione di un blocco per la neutralità assieme ad altri Stati.
Nella
valigetta vi era anche il breve verbale dell'incontro avvenuto al
Brennero tra Mussolini e il Führer, quando Hitler spiegò la posizione
politico – militare della Germania in quegli istanti con l'intento di
voler concludere il prima possibile la partita con Francia e Regno
Unito. “Colloquio di ieri è stato molto importante più di quanto non
avessi preveduto” scriveva Mussolini al Re.
Ci
stava la certezza che il mondo non solo era sulla via del cambiamento
ma anche che sarebbe profondamente cambiato e che l'impero inglese e le
demoplutocrazie fossero arrivate ad un punto di non ritorno.
La
Germania stava forzando questa trasformazione, l'Italia non poteva
mancare l'appuntamento e il Duce lo scrisse in una relazione inviata
agli alti comandi militari il 31 marzo 1939 e qualche giorno dopo al Re:
“L'Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra quanto in mare […]
l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra, si tratta di
sapere quando e come: si tratta di protrarre il più a lungo possibile,
compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra”,
non ci sta più da “perdere un'ora di tempo”, tutto poteva cambiare in
breve e si doveva esser pronti. La risposta di Badoglio del 6 aprile
confermava l'avviamento dei programmi da tempo, ma il Maresciallo non
nascondeva le sue forti preoccupazioni se non altro per l'Africa
orientale.
La
travolgente ed inattesa avanzata della Wehrmacht in Francia spiazzò
ancora i vertici militari e politici italiani, nel foglio datato
addirittura 1° giugno 1940, Badoglio, con un ritardo spaventoso, ma
visto l'arrivo di considerevoli quantitativi di materie prime,
consigliava di rinviare l'entrata in guerra alla fine del mese quando
invece era stata prestabilita per il 5 di giugno e poi fu ritardata di
soli 5 giorni.
L'idea di
una guerra parallela sganciata dai tedeschi e pensata per ovvi motivi
politici si schiantò ben presto nella campagna di Grecia, pensata per
controbilanciare lo strapotere nazista che si allargava nell'area
balcanica. In quella disastrosa avventura le truppe italiane dovettero
paurosamente fare marcia indietro.
Altri
due rapporti dei comandi militari, uno del 1° ottobre 1942 e l'altro
del 29 gennaio 1943, non promettevano nulla di buono ma è dalla nota del
Duce del 14 luglio 1943 che si evince tutto il suo sconcerto di fronte
al succedersi degli eventi e allo sbarco Alleato in Sicilia: “La
situazione è inquietante” e si chiedeva “perché dopo lo sbarco, la
penetrazione in profondità è avvenuta con un ritmo più che veloce”,
“perché il nemico dispone di una schiacciante superiorità aerea”,
“perché ha quasi incontrastato il dominio del mare” e invitava a
“resistere a qualunque costo a terra”. Il Duce era stato ingannato, in
Sicilia era stata ordita la disfatta, parlavano i fatti ma altrettanto
certamente Mussolini fino ad allora non aveva voluto vedere la
negligenza, l'incapacità, il servilismo nonché le opposizioni e gli
ostruzionismi degli alti gradi militari.
Con
sé nella valigia portò poi diversi telegrammi e lettere che attestavano
la fiducia, l'ammirazione e il consenso ricevuto negli anni a
cominciare dal Re, per proseguire dopo con tutte le approvazioni
possibili ed immaginabili di tutte le alte cariche dello Stato,
dell'economia, della società civile e delle gerarchie delle forze
armate.
Proprio su
Badoglio, sulla sua ipocrisia, sul suo golpismo, sulla sua malafede e i
suoi modi di fare maldestri coi tedeschi, che peggiorarono ulteriormente
i rapporti con gli alleati a scapito dell'Italia e degli italiani, si
era trattenuto una serie di fogli ufficiali: i resoconti degli incontri
tra tedeschi e italiani avvenuti dal 25 luglio 1943 all'8 settembre
facevano parte di questo pacchetto a dimostrazione probabilmente di
quanto furono infidi e dannosi per l'Italia sia il Maresciallo che il
piccolo sovrano.
Tra
quei plichi spiccano almeno un paio di note di fine agosto '43: nell'una
si diceva che i tedeschi sospettavano fortemente di rapporti e accordi
con gli anglo – americani da parte del Re e nell'altra si accusava i
nazisti di ordire un contro – golpe, cosa che poi comportò l'arresto di
Cavallero e l'assassinio di Ettore Muti.
A
ciò si aggiungono 3 documenti sugli scioperi del 1943-1944: un pro –
memoria per Mussolini del 1° marzo 1944, un altro diretto a Francesco M.
Barracu, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ed
uno che riassumeva l'esito proprio delle giornate degli scioperi
avvenuti tra il 1° e il 5 marzo.
Nel
rapporto al Duce si scriveva che le proteste avevano avuto un certo
seguito e venivano condotte dai comunisti, i quali, di concerto con
altre azioni mirate, puntavano diritti ad uno stato di sanguinaria
“guerra civile” e di spaccatura sociale e nazionale. Gli altri partiti
invece sembravano molto più titubanti a riguardo.
A
Barracu si comunicava che lo sciopero aveva avuto sempre più consenso,
anche se alcuni alcuni settori non vi avevano aderito, e che in talune
occasioni si era riusciti a sostituire gli scioperanti con dei
volontari, in ogni caso le azioni di repressione erano iniziate.
Mussolini
voleva di fronte ai tribunali internazionali riproporre la difesa di un
fascismo stavolta repubblicano che cercava di salvare il Paese dalla
feroce rivoluzione comunista come era avvenuto tra il 1919 e il 1922?
Può darsi, la questione sembra credibile.
Dopodiché? Già, quasi più niente, tutto qua!
Anche per un occhio miope appare una magra consolazione questa raccolta di carte. O sbaglio?